Massimo Onofri, Avvenire 6/3/2014, 6 marzo 2014
MA QUANTI NEMICI HA BERARDINELLI, IL PIU’ INTRUSO TRA I CRITICI LETTERARI
L’antologia personale che approntò nel 2007 per Emanuele Zinato volle (o lasciò) che fosse inclusa in un libro intitolato Il critico come intruso. Oggi che, curato da Angela Borghesi, l’editore Gaffi congeda un folto volume di contributi e qualche intervista per i suoi 70 anni (rintoccati, però, l’anno scorso), con un bel ritratto in copertina schizzato da Giosetta Fioroni, Berardinelli è diventato addirittura Lo scrittore invisibile (pp. 528, euro 18.90), con un’espressione coniata all’uopo dal sodale Hans Magnus Enzensberger. Intruso, insomma, ma continuamente tentato dall’invisibilità: non per niente, in un Paese in cui nessuno o quasi prende sul serio le idee che professa, Berardinelli ha creduto a tal punto alle idee che, una volta maturato un giudizio severo sull’Università, si è immediatamente dimesso da docente (come testimonia, qui, l’intervista del 1995 a la Repubblica).
Tentato dall’invisibilità, dicevo: ma non così invisibile da non suscitare intorno a sé impazienza, se non insofferenza. Perché il bello di questo libro sta proprio in una sua peculiarità, a dire il vero molto berardinelliana: quella di ospitare, oltre che esercizi di ammirazione (di italiani e stranieri), anche stroncature. Scelta giustissima, ma soprattutto rigorosa: Berardinelli, oltre che un simbolo, è un sintomo della nostra cultura non solo letteraria. Cosa che, a noi più giovani, ha consentito di capire presto certe patologie italiane e provvedere subito al vaccino: sono convinto che noi venuti dopo, senza il faticoso e ingrato lavoro di decostruzione critica di Berardinelli, saremmo stati tutti meno liberi.
Che cosa voglio dire? Che le sue posizioni sono capaci, come pochissime altre, di provocare il sistema immunitario della cultura italiana, di modo che la reazione del sistema stesso consenta, ogni volta, a quella cultura di rimandare i conti con le sue contraddizioni e la propria cattiva coscienza. Come altrimenti leggere, del resto, due articoli polemici di Paolo Mauri e Franco Cordelli, ospitati a distanza di non molti anni sui due giornali dirimpettai e nemici, ’la Repubblica’ e il ’Corriere della Sera’, che rimproveravano a Berardinelli una disposizione, diciamo cosi, antimondana e teologica, ma anche il suo contrario? Se Mauri, recensendo L’esteta e il politico (1986), in cui il critico rifletteva sulla figura del ’nuovo piccolo borghese’, gli contestava un apocalittico ’disprezzo del mondo’, assolvendolo, però, perché si trattava della ’radicalità’ di chi restava, alla fine di tutto, un ’poeta’, ecco che Cordelli, intervenendo su Stili dell’estremismo (1993), gli imputava, dissimulato sotto l’anticonformismo, il sostanziale snobismo di integrato, quello di chi crede di vincere la sua guerra contro l’ideologia utilizzando, non la poesia (che sarebbe l’uscita di sicurezza della vita), ma la forma-saggio, il pamphlet e l’articolo, ’i generi, appunto, dell’ideologia’.
Ma le pagine più sintomatiche sono quelle che attaccano il critico letterario, per liquidare il politico impoliticissimo: e che mostrano in modo eclatante il moralismo, se non il perbenismo, della sinistra italiana anche migliore. Come quando Raboni, per stigmatizzarne l’anticomunismo, accusa Berardinelli d’avere ucciso il padre Fortini, senza fare onesta autocritica. Dovrei ricordare, ora, le sussiegose pagine in cui il luperiniano e ’materialista’ Pietro Cataldi gli rimprovera un certo populistico disprezzo per la scuola. Epperò: si può biasimare la libertà di chi le lezioni ha sempre preferito farle all’aperto e pagando di persona?