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 2014  marzo 06 Giovedì calendario

POLETTI POWER


Poletti chi?». Con questo interrogativo la nomina del nuovo ministro del Lavoro è stata accolta non solo, com’è ovvio, nella gran parte d’Italia, ma perfino in quell’area del postcomunismo emiliano in cui è cresciuto e da tempo si muove come un pesce nell’acqua. Di Giuliano Poletti sottolineano tutti il tratto bonario, l’amore per la tavola e il buon vino, accompagnati da una sobria operosità. Nessun clamoroso talento e neppure particolari competenze. Tranne una: l’accortezza nel gestire le relazioni di potere. È questa la chiave che gli ha aperto le porte del governo di Matteo Renzi. Una qualità che lo ha portato anche al vertice di un colosso come la Lega delle cooperative (8,5 milioni di soci, 62 miliardi di fatturato, 520 mila occupati) su cui Poletti è stato seduto per ben 12 anni. In più, fino al 22 febbraio, data del giuramento al Quirinale, è stato anche a capo dell’Alleanza delle cooperative che nel 2011 ha messo d’accordo due mondi in conflitto dall’inizio del ’900: le cooperative «rosse» di Legacoop e quelle «bianche» (area cattolica/democristiana) di Confcooperative, cui si sono aggiunte le poche «verdi» (repubblicane) riunite nella Agci. Tutte insieme formano una vera potenza economica, con una ramificazione locale senza eguali.
Né la Lega né tanto meno l’Alleanza delle cooperative gestiscono aziende: sono associazioni di categoria. Ma mentre al vertice della Confcommercio o della Confindustria si arriva anche per la propria storia di imprenditori o manager, la faccenda è ben diversa in Legacoop, che ha vissuto in simbiosi con il Partito comunista, finché c’è stato, e poi con i suoi succedanei. Un tempo si chiamava «collateralismo».
Ora giurano tutti che quel fenomeno è sepolto, ma non è così e proprio la storia del neoministro lo dimostra. Nato a Imola nel 1951, a 25 anni Poletti è assessore all’Agricoltura della sua città e a 30 segretario della federazione del Pci. Ancora qualche anno ed è consigliere provinciale a Bologna per il Pds. È da questa posizione che inizia la scalata alla Lega: a Imola, poi in tutta l’Emilia-Romagna, infine con la presidenza nazionale, conquistata nel 2002. Nell’arco dei decenni non ha mai gestito economicamente alcunché. Il suo mestiere è quello del funzionario, prima di partito e poi di organizzazione, che esercita con una grande abilità nel tessere relazioni.
Imola è il cuore del riformismo pragmatico di tanti amministratori locali del Pci. A rappresentarla da 20 anni è l’ex ministro e poi segretario del Pd Pier Luigi Bersani. A lui Poletti (sposato con Anna Venturini, assessore a Castelguelfo, e padre di due figli, uno dei quali direttore del settimanale ravennate Settesere) è legato da sempre, come a tutta la filiera bersaniana, sia a valle sia a monte. A livello locale fra i suoi referenti più stretti ci sono il presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani, il suo assessore all’Industria Gian Carlo Muzzarelli (fondamentale per le tante cooperative delle costruzioni) e il sindaco di Bologna Virginio Merola. A livello nazionale il legame è con l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, il cui rapporto con Bersani va avanti da decenni a fasi alterne. Una vecchia amicizia lo unisce a Franco Grillini (bolognese, ex Pci ed ex Idv): quando il governo Berlusconi voleva ridurre le agevolazioni fiscali delle coop, questi accendeva il telefonino durante le commissioni congiunte Giustizia e Finanze per fargliele ascoltare in «streaming ». I rapporti sono cordiali, sebbene meno stretti, anche con Romano Prodi, nume della sinistra bolognese di governo.
Sul perché Matteo Renzi abbia messo in squadra un esponente dell’area che più gli ha fatto la guerra nel Pd circolano varie tesi. Una è che la cooperazione rossa abbia cambiato cavallo in blocco la scorsa primavera, dopo il mezzo flop elettorale di Bersani. Inoltre il premier gode di forti sostegni anche in Confcooperative, il cui ex presidente Luigi Marino ha preceduto Poletti in politica come senatore di Scelta civica, mentre l’attuale vicedirettore Marco Venturelli è tra i renziani più accesi. Poletti, inoltre, è il classico uomo di raccordo fra mondi diversi. Buone le relazioni con la Compagnia delle opere (c’è amicizia con Giorgio Vittadini) e la Confindustria, anche grazie all’elevato tasso di «emilianità». È di Sassuolo il presidente degli industriali Giorgio Squinzi ed è di Modena l’ex vicepresidente Guidalberto Guidi, la cui figlia Federica è al governo come ministro dello Sviluppo. Con entrambi ci sono ottimi rapporti personali.
La sua capacità di manovra venne messa alla prova nel 2005, con la scalata dell’Unipol di Giovanni Consorte alla Bnl. Poletti appoggiò l’acquisto della banca da parte delle coop, salvo scaricare Consorte quando le cose si misero male. Poi occorse ricucire fra gli emiliani, sostenitori dell’operazione, e i toscani che l’avevano avversata. L’equilibrio fu trovato e regge ancora, come testimonia la posizione del pistoiese Giorgio Bertinelli, vicepresidente di Legacoop.
Fra i pochissimi avversari si contano il segretario della Coldiretti Vincenzo Gesmundo, in competizione con Legacoop per la rappresentanza in agricoltura, e il fondatore dell’Esselunga Bernardo Caprotti, che alle coop rosse ha riservato pagine taglienti nel libro Falce e carrello, ma a Poletti solo un paio di citazioni. Ben più duri da digerire i giudizi del comitato degli ex soci della Coop costruttori di Argenta (Ferrara) che fallì nel 2002 per un buco di oltre 1 miliardo di euro, facendo sparire 85 milioni dei risparmi dei soci. Da anni chiedono invano i loro soldi alla Legacoop di Poletti. «Finora hanno ottenuto solo pressioni per desistere, ivi compresa la sospensione dei pochi rimborsi di solidarietà» dice l’avvocato Bruno Barbieri, vicepresidente del Codacons, che li difende. Il 18 marzo si terrà la prima udienza a Milano. C’è da giurare che il ministro del Lavoro non ci sarà.

(ha collaborato Antonio Amorosi).