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 2014  marzo 05 Mercoledì calendario

ENRICO LO VERSO TRWENT’ANNI CHE NON VEDO LA TV


Gli attori vogliono e devono lavorare. Vogliono per passione e devono per vivere. Non lo ammettono in molti, ma la disoccupazione pesa. E ci sono mestieri che all’inizio pensi «non fa per me», finché ti accorgi che ti diverti. Dopo quasi trent’anni di carriera, prima a teatro poi al cinema dove Il ladro di bambini, nel 1992, gli ha dato notorietà e una nomination ai Golden Globe, Enrico Lo Verso debutterà il 18 marzo nella soap CentoVetrine. All’inizio l’idea l’aveva «un po’ destabilizzato», mi raccontò l’autunno scorso mentre era sul set. «E, invece, ho scoperto che mi sento come un bambino a Disneyland».
Cioè?
«I tecnici lavorano lì da più di dieci anni, sanno perfettamente che cosa fare. Quando arrivo la mattina è già tutto pronto e io posso cominciare a girare senza perdite di tempo».
Come le hanno proposto la parte?
«Ho una cara amica che lavora a Cento­Vetrine come sceneggiatrice. Un giorno mi chiama e mi dice: “Sto leggendo le puntate del prossimo anno e c’è un personaggio nuovo, bellissimo. Ogni volta che entra in scena penso a te”. E io dico: “Ah”. Lei continua: “Volevo dirti che ho fatto il tuo nome alla produzione e pensano che saresti perfetto”».
E lei ha detto di nuovo: «Ah»?
«Di lei mi sono sempre fidato. Anche se il mio agente era perplesso, ho fatto il provino».
Pure? Pensavo l’avessero accolta a braccia aperte.
«Guardi, è stato uno dei provini più seri che abbia mai fatto in tutta la mia carriera».
Dicono che lei non guarda la Tv.
«Dal 1984. Quando, dopo il liceo, mi sono trasferito a Roma. Dividevo un appartamento con altri ragazzi, lo spazio era poco, a quel tempo i televisori erano voluminosi e comunque non avevamo i soldi per comprarne uno. Da allora mi sono abituato a vivere senza».
Ma non vive come una contraddizione il fatto di fare Tv ma di non guardarla?
«No. A volte mi chiedono se mi rivedo nei film che ho fatto. Spesso non li vedo neppure quando escono al cinema. Faccio l’attore solo perché mi piace recitare. Sa qual è forse la mia vera contraddizione? Che non sono ambizioso, non cerco la notorietà».
Lei ha un figlio di 22 anni. È cresciuto senza televisione?
«Sì. E il risultato è che, finché Giacomo è stato piccolo, abbiamo trascorso parecchio tempo insieme al parco, che lui ha letto qualche libro in più e trascorso più tempo con i suoi amici».
Qualche tempo fa, citando Vasco Rossi, ha detto: «Se un giorno decidessi di sposarmi la considererei una sconfitta».
«Se domani avessi un incidente e finissi in coma, la mia compagna (Elena, si sono conosciuti su un set dove lei lavorava alla produzione, 25 anni fa, ndr) non potrebbe neppure venirmi a trovare. A un mio amico è successo: l’ospedale si rifiutava persino di dargli notizie. Sono fatti macabri».

circa cinque mesi dopo, incontro Lo Verso a Berlino dove vive suo figlio e dove anche lui sta meditando di trasferirsi. Ci vediamo in uno Starbucks e dopo un po’ ci raggiunge anche Elena. «Non è che nel frattempo vi siete sposati?», chiedo. «No, ma forse il 2014 potrebbe essere l’anno buono visto che festeggiamo 25 anni insieme», scherza lei.
Proprio in quei giorni, al Festival del cinema di Berlino, tra i pochi italiani in concorso nella sezione documentari c’era Gianni Amelio con Felice chi è diverso: una ricostruzione della vita dei gay negli anni in cui di omosessualità non si parlava proprio, e l’occasione per il suo personale coming out. Lo Verso ha fatto tre film con lui. L’ultimo, Così ridevano, ha vinto il Leone d’Oro a Venezia nel 1998.

Che impressione le ha fatto questo coming out a quasi 60 anni?
«In realtà, Gianni non lo ha mai tenuto nascosto. A colpirmi semmai è stata la sua scelta di fare un film sull’argomento. Una sorta di militanza. Ancora oggi essere gay in Italia non è facile: se vedi due uomini mano nella mano, sei costretto a pensare che sono coraggiosi. Qualche tempo fa, a Roma, ho visto due truzzoloni uscire da un locale, parlavano, e a un certo punto si sono baciati. Mi ha fatto una grande tenerezza. Povero il Paese che ha bisogno dei coming out».
A proposito di coraggio, nei mesi scorsi ha girato un film su un giornalista che sfida la mafia.
«Si intitola Nomi e cognomi. Una storia alla Pippo Fava».
Era un po’ che non lavorava per il cinema.
«Uno dei motivi per cui sono qui a Berlino è che in Italia funziona tutto per amicizie. Per poter lavorare devi andare ai party. Io se vado alle feste, mangio. Non sono mai stato capace di fare pubbliche relazioni».
Non ha paura che il fatto di essere in una soap renda le cose ancora più difficili?
«Per la verità, ormai lavorano soprattutto quelli che hanno fatto Tv. Tempo fa ho dovuto superare diversi provini per convincere i produttori che ero meglio di uno uscito dal Grande fratello».
Luca Argentero?
«No. Ma non faccio nomi, non mi va di fare quello che si vanta: “Sono passato davanti al tizio”».
Quindi è in Tv per cercare di fare film?
«La verità è che mi sono reso conto di non avere un granché da perdere. E, poi, ho cominciato a divertirmi».