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 2014  marzo 05 Mercoledì calendario

SORGENIA: QUANDO C’È DE BENEDETTI LA BANCA AMICA CHIUDE GLI OCCHI


Come a Caporetto. Quella di Sorgenia è una rotta disordinata. Sul sito web della Cir, la holding della famiglia De Benedetti a cui fa capo la società elettrica, sono ancora pubblicate le vecchie “linee di sviluppo” : “Aumento della clientela residenziale” e “focalizzazione sul settore eolico”. Peccato che non valgano più dallo scorso 18 dicembre, quando Sorgenia ha cambiato idea: “Priorità allo sviluppo commerciale sul mercato “corporate” (grandi imprese e piccole e medie aziende)” e “dismissione di tutte le attività nelle energie rinnovabili in Italia”.
L’s.o.s. di Rodolfo
Come molti capitani d’industria, Rodolfo De Benedetti, il primogenito a cui Carlo l’Ingegnere ha ceduto anni fa la guida del gruppo, eccelle nell’arte della “rifocalizzazione”, la supercazzola in versione manageriale. Si fa un ambizioso “piano industriale”, lo si fa finanziare dalle banche, poi si scopre che si è sbagliato e si passa alla rifocalizzazione. Solo che stavolta, in calce al comunicato rifocalizzante, c’era la dichiarazione di resa: “Tenuto conto dell’entità dell’indebitamento, Sorgenia ritiene necessaria una ristrutturazione finanziaria e ha invitato le banche ad avviare un processo di approfondimento e discussione al riguardo. Nel frattempo, al fine di garantire la piena operatività, la società ha avanzato richiesta di moratoria e stand still fino al 1 luglio 2014”. Tradotto: “Non ti pago”.
Mentre Rodolfo lancia il suo s.o.s. alle banche l’Ingegnere si affretta a chiarire che non ha più niente a che spartire con Cir e Sorgenia, né cariche né azioni. Nel 1996 mollò l’Olivetti agonizzante all’allora sconosciuto ragioniere Roberto Colaninno, adesso si disinteressa del disastro elettrico di famiglia e si occupa solo di pontificare sulle precarie sorti del Paese. Dei circa 2 miliardi di euro di valore di Borsa del gruppo De Benedetti (nelle quotate Co-fide, Cir, Espresso e Sogefi) solo 200 milioni (un euro su dieci) sono capitali rischiati dal cosiddetto padrone, il resto è messo dagli azionisti di minoranza: chi comanda sbaglia, il parco buoi paga.
I creditori hanno reagito alla resa di Rodolfo chiudendo i rubinetti e a fine febbraio Sorgenia ha comunicato di avere un mese di vita, dando il via alla consueta convulsa trattativa per il salvataggio a spese dei 21 istituti creditori. È dunque una Caporetto anche delle banche, prima generose e poi distratte. Si accorgono di colpo che Sorgenia non è più in grado di pagare neppure gli interessi sul debito di 1,9 miliardi. E che Cir non ha risorse per fronteggiare il disastro. Sorgenia ha bisogno di almeno 600 milioni di capitale, Cir non ne vuol mettere più di 100. E il famoso risarcimento versato da Silvio Berlusconi per il caso Mondadori? Non c’è più. La Cassazione ha fissato la cifra a 491 milioni, diventati 350 dopo spese e tasse. Ma la dichiarazione di default di Sorgenia dà diritto ai detentori delle obbligazioni Cir a scadenza 2024 di chiedere il rimborso immediato: sono 259 milioni. Ne restano 90, quindi se Rodolfo De Benedetti dice che ne tira fuori 100 sta già facendo uno sforzo. Le banche dovrebbero convertire crediti in azioni per gli altri 500 milioni necessari. L’unica cosa chiara che emerge dalle trattative segretissime (quando si perdono miliardi dei piccoli azionisti scatta la privacy) è che il valore attribuito oggi a Sorgenia è zero. Possibile che una società che solo un anno fa dichiarava un patrimonio netto (capitale più riserve) vicino al miliardo abbia polverizzato il suo valore in poche settimane? No, non è possibile. Infatti era tutto chiaro da anni. Le banche avrebbero potuto accorgersi solo leggendo i bilanci, o i giornali, che i loro crediti erano in pericolo. Nel 2007 Sorgenia dichiarava l’obiettivo di avere nel 2010, dopo tre anni, debiti per 1,4 miliardi e patrimonio netto per 1,3 miliardi. A consuntivo, i debiti erano 300 milioni più alti e De Benedetti e soci avevano immesso 200 milioni di capitale in meno. Mancavano all’appello 500 milioni, e nessuno ha fiatato. Nel 2007 Sorgenia dichiarava che entro il 2010 avrebbe avuto 450 megawatt di potenza installata nell’eolico, il business delle rinnovabili che si focalizza e rifocalizza. Oggi siamo a malapena a 200 megawatt. Non solo. L’obiettivo per il 2010 era un fatturato di 3 miliardi e un ebitda (il margine operativo lordo, quella differenza tra costi e ricavi con cui si ripagano le banche) di 500 milioni. A consuntivo il fatturato è stato 2,5 miliardi e l’ebitda si è fermato a 151 milioni, del 70 per cento sotto l’obiettivo. Tre anni fa i fattori industriali della crisi, che stanno colpendo tutto il settore, erano già chiari: il boom del fotovoltaico (alimentato dalle stesse banche, che incamerano una bella fetta delle sovvenzioni) ha messo alle corde le centrali termiche, in particolare quelle di Sorgenia, costruite a crisi iniziata. Ci voleva un sensitivo per capire che i miliardi prestati erano in pericolo? E adesso che Sorgenia ammette che nei prossimi anni l’ebitda non supererà i 120 milioni all’anno (contro gli almeno 500 programmati) ci vuole un mago per capire il problema? Sarebbe bastato un brain storming tra un elettricista e un ragioniere. Tutt’al più un banchiere. Sarebbe bastato per esempio che il presidente del Monte dei Paschi Giuseppe Mussari fosse un banchiere e non un dilettante, come rivendicato dall’interessato. Nel 2010, quando Sorgenia comincia a scricchiolare, Mps è esposto per 1,2 miliardi, due terzi dell’indebitamento netto della società. Gli ispettori di Banca d’Italia, che scrutinavano le carte senesi dopo l’incauto acquisto di Antonveneta, non si sono accorti di niente.
Banchieri distratti?
Oggi Mps è esposto per 600 milioni, guida la classifica delle banche creditrici. Al secondo posto Intesa Sanpaolo, attorno ai 350 milioni contando i crediti alla controllata Tirreno Power, ma il dato è incerto perché la banca presieduta da Giovanni Bazoli non ama la trasparenza quando si parla dei crediti dati agli amici degli amici. Come pretendere da Bazoli chiarezza sul caso Sorgenia se ancora non è riuscito a capire, dopo dieci anni, quale dei suoi dirigenti abbia prestato 1,8 miliardi senza alcuna garanzia reale al suo amico Romain Zaleski per giocare in Borsa? L’estate scorsa - quando Rodolfo De Benedetti ha allontanato l’amministratore delegato Massimo Orlandi, e il nuovo manager Andrea Mangoni non ha potuto far altro che accendere la calcolatrice per misurare il disastro - cosa hanno detto le banche? Niente. Ci diranno i posteri se le menti raffinatissime di manager e banchieri riusciranno a raddrizzare la barca, o se Sorgenia si rivelerà un clamoroso scandalo del capitalismo di relazione.

Certo, come ha protestato Rodolfo De Benedetti con il Corriere della Sera, è improprio mettere insieme la vicenda Sorgenia con l’attivismo politico di suo padre Carlo che, lo abbiamo capito, non c’entra proprio niente. Ma è duro da scacciare il cattivo pensiero che i banchieri, quando bussa l’editore di Repubblica , padre o figlio che sia, diventino d’incanto generosi e distratti.