Silvia Ronchey, La Stampa 5/3/2014, 5 marzo 2014
Clelia Farnese una ribelle del ’500 tra i mostri di Roma Marcello Sorgi Secondo Michel de Montaigne, che la conobbe durante il suo famosov Viaggio in Italia, Clelia Farnese era, «senza paragone, la più amabile donna che fosse allora in Roma e anche altrove»
Clelia Farnese una ribelle del ’500 tra i mostri di Roma Marcello Sorgi Secondo Michel de Montaigne, che la conobbe durante il suo famosov Viaggio in Italia, Clelia Farnese era, «senza paragone, la più amabile donna che fosse allora in Roma e anche altrove». Bellissima e molto temuta e ammirata, la figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese rivive nell’attenta e documentata biografia della storica Gigliola Fragnito (Storia di Clelia Farnese, Il Mulino, pp. 330, € 25). Giovanissima sposa, a soli 14 anni, di Giovan Giorgio Cesarini, gonfaloniere del popolo romano, costretta a sopportare le angherie di un marito dissoluto che la tradisce, e il cinismo di un padre che si serve di lei per le sue aspirazioni al papato, Clelia (1577-1613) rivelerà una forza e un carattere imprevedibili e indomabili, che neppure il forzato esilio, voluto dal padre, prima nella Rocca di Ronciglione e poi nei feudo padano, riuscirà a piegare. Ma nel libro della Fragnito la storia di questa donna ribelle e affascinante diventa anche il pretesto per una spietata descrizione della Roma della Controriforma. Memorabili le pagine in cui sono ricostruite le abitudini di casa di certa aristocrazia, la propensione agli sprechi, l’inutile ed eccessiva proliferazione della servitù, tra auditori, computisti, procuratori, segretari, maestri di casa, maestri di camera, camerieri personali, coppieri, trincianti, cuochi, dispensieri, credenzieri, bottiglieri, spenditori, stallieri e perfino nani, in una confusione di compiti e ruoli impossibili da distinguere. Se ne ricava una vita perduta tra «desordini continoi», frequentazioni di prostitute che a decine vengono arrestate su ordine del Papa, carnevali pieni di equivoci, a cui i cardinali partecipano volentieri astenendosi solo dalle danze, feste, festini, tradimenti, amanti, mogli «molto asciutte e scontente», agguati notturni di incappucciati che agiscono per conto dei principi che non sopportano le corna, giochi sconsiderati, patrimoni dissolti, e poi banchetti con eccessi di gola e grande accorrere di medici e cerusici alle prese con le inevitabili conseguenze di condotte tutt’altro che irreprensibili. Gigliola Fragnito alterna prove di felice narrazione di ambiente, di un’epoca romana particolarmente corrotta, e dei personaggi dell’aristocrazia papalina che si muovono sul palcoscenico con sembianze mostruose, con analisi storiche severe e approfondite, lasciando al lettore l’amaro divertimento di paragonare gli eccessi della Roma cinquecentesca della Controriforma con quelli della progredita Capitale attuale, in cui tornano ad affacciarsi segni di barbarie.