Giuseppe Bottero, La Stampa 5/3/2014, 5 marzo 2014
Sferraglia, sbuffa e scalda come una vecchia stufetta. Vibra, squilla e sforna monete a ripetizione
Sferraglia, sbuffa e scalda come una vecchia stufetta. Vibra, squilla e sforna monete a ripetizione. Soldi invisibili, naturalmente. Eccola, la zecca 2.0: né più né meno di un server. È volato dalla Cina al settimo piano di un palazzo in via Torino a Milano, dove nello stanzino delle scope è stata allestita una miniera di cyber-monete. Lo spazio è intasato da un groviglio di cavi che collegano la preziosa scatoletta metallica ad un alimentatore per pc e a un monitor. Appoggiato su una sedia c’è un ventilatore perché, esattamente come ai tempi della corsa all’oro, il processo è faticoso. Solo che in questo caso a sudare è il pc. La zecca della cripto-valuta tecnicamente si chiama «miner» (costo un bitcoin, al cambio attuale poco più di 500 dollari) ed è in rete con altre decine di apparecchi simili, sparsi per tutto il mondo. Ognuno di questi elabora formule matematiche molto complesse, gestite da un algoritmo creato da Satoshi Nakamoto, uno pseudonimo dietro cui si nasconderebbe un gruppo di anonimi genietti informatici. Ciascun «miner», totalmente autonomo, invia i calcoli a centrali più grosse (si chiamano «pool») che, in cambio, riconoscono al proprietario una piccola percentuale di bitcoin, generati costantemente. Tutto è basato sulla fiducia e i soldi finiscono su un conto corrente on line. Pronti ad essere spesi nei (finora pochi, almeno in Italia) esercizi che li accettano. L’uomo che sorride del suo gioiellino («sforniamo almeno 15 euro al giorno», dice) non è un giovane «smanettone» ma Michele Ficara, vecchio agitatore della Rete che ha fondato Assodigitale, l’associazione dell’industria hi-tech italiana. Davanti al server si illumina: «Il bitcoin è denaro contante che viene digitalizzato - spiega -. Si può scambiare liberamente, non ha una banca centrale che lo controlla e, soprattutto, può essere gestito anche per delle frazioni infinitesimali: è molto utile per finanziare i progetti». Ficara è consapevole che produrre bitcoin in Italia è una missione quasi impossibile. Il nodo principale è il consumo. I server scaldano molto e allo stesso modo bruciano energia, con rischio-beffa soprattutto per i dilettanti della caccia all’oro: alla fine del mese la bolletta può essere ben più salata di quanto guadagnato elaborando calcoli nella propria stanzetta. Per iniziare a «minare» bisogna investire almeno 1000 euro, e sostanzialmente non servono competenze tecniche bensì spirito d’avventura, come ai tempi del Klondike. La maggior parte dei grandi centri di calcolo, a cui si connette il resto dei minatori europei, sta in Croazia, Cina, Islanda. La domanda che accompagna chiunque entri nello stanzino delle scope trasformata in zecca è: perché qualcuno dovrebbe decidere di passare al bitcoin? «Può essere un buon investimento», sostiene Ficara. C’è però un elemento che rischia di complicare la corsa al denaro virtuale: i bitcoin non sono infiniti. È stata fissata una soglia: quota 21 milioni che verranno raggiunti, si prevede, nel 2140. Mano a mano che i bitcoin vengono «estratti», infatti, aumenta la difficoltà di calcolo: ad un certo punto non sarà più possibile generarli. Non basta per spegnere l’entusiasmo dei nuovi minatori che non si sono scoraggiati neppure di fronte al crac di Mt.Gox. Una botta pazzesca. E adesso trema anche la rivale Flexcoin, che ha subìto un furto di 600 mila dollari e non ha i fondi per rimborsare gli utenti. Ma il mercato, nonostante la profezia di Buffett («il Bitcoin non durerà più di dieci-vent’anni») è in pieno fermento: ieri Blockchain, il più popolare sito dedicato ai soldi virtuali, ha acquistato la piattaforma Rtbtc.