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 2014  marzo 05 Mercoledì calendario

In Brianza la “banca” della ’ndrangheta Seveso, un monolocale usato dalle cosche come ufficio per prestiti e riciclaggio in Lombardia: 30 arrestati Paolo Colonnello Hanno quasi tutti cognomi brianzoli i protagonisti di questa nuova puntata sulla ’ndrangheta al nord che ieri ha portato in carcere una trentina di persone: Tremolada, Parravicini, Giordano, Sangiovanni

In Brianza la “banca” della ’ndrangheta Seveso, un monolocale usato dalle cosche come ufficio per prestiti e riciclaggio in Lombardia: 30 arrestati Paolo Colonnello Hanno quasi tutti cognomi brianzoli i protagonisti di questa nuova puntata sulla ’ndrangheta al nord che ieri ha portato in carcere una trentina di persone: Tremolada, Parravicini, Giordano, Sangiovanni... Qualcuno è nato in Svizzera. Ma il capo, Pino Pensabene, oriundo calabrese affiliato alla cosca Imerti, al vertice di un impero finanziario costituito da almeno una ventina di società attive in ogni campo, ci tiene a mantenere le distanze: «Non mi chiamo Brambilla, sempre Peppe sono...». Sempre la solita storia: estorsioni, usura, riciclaggio. Ma alla grande, alla brianzola, con gli imprenditori in fila davanti «al tugurio», un monolocale senza finestre nè servizi igienici a Seveso che si trasforma in una “banca” illecita con un sistema di raccolta dai 30 ai 70 mila euro al giorno, da cui ottenere i prestiti veloci per creare fondi neri, per creare fatture false «e far lievitare i costi, così poi risulta che hanno troppe spese e possono licenziare 2 o 300 operai». Nessuno denuncia, nessuno parla. La mafia, scrive il gip Simone Luerti, non ha più bisogno di intermediarie e colletti bianchi: «Gestisce in prima persona le operazioni finanziarie ed entra in contatto, condizionandoli, con il mondo dell’impresa e del commercio, infiltrandosi direttamente nella vita economica della società». L’occhio sempre più fisso “ai danè”: sei milioni e rotti di euro esportati in Svizzera in poco più di un anno dall’organizzazione criminale che comanda “la Lombardia” con la “locale”, ovvero la cosca di Desio, e che si avvale di sedicenti “avvocati”, finanzieri, commercialisti compiacenti, direttori di uffici postali e di filiali bancarie distribuiti nei capisaldi della Brianza felix: Seveso, Desio, Lissone, Rho, Paderno Dugnano. È qui ormai, come dimostrato da altre inchieste, il vero cuore pulsante della ’ndrangheta che dalla Calabria reinveste i suoi proventi dai traffici di droga e crea quella liquidità che le banche ufficiali concedono col contagocce e che i Peppe Pensabene della situazione dispensano invece con facilità a imprenditori voraci, «i collusi», o alla canna del gas, «le vittime», chiedendo dal 5 al 10% di commissione, pretendendo , quando è il caso, il rientro immediato dei debiti a suon di sberle e catenate sugli occhi, come successo all’ex presidente del Nocerina calcio Giuseppe De Marinis, che perde una retina ma guadagna ancora un po’ di tempo per pagare. O come capita Giambartolo Pozzi, dirigente della vecchia Spal, minacciato dopo aver chiesto soldi per sé e la società calcistica; o ad Antonio Rosati, costruttore, ex presidente del Varese calcio e direttore generale del Genoa. Ci sono anche loro nel giro di beneficiati e puniti dall’intelligenza feroce di Pensabene che, nonostante sia già stato denunciato, indagato per mafia nel 2010, costretto al soggiorno obbligato, oggetto di sequestri e confische, inspiegabilmente, come sottolinea il procuratore della Dda Ilda Boccassini, continua a mantenere intatto il suo patrimonio di imprese e crediti. «Bisognerà riflettere - dice il magistrato su come vengono gestiti questi beni sequestrati...». Un circuito finanziario illegale e parallelo fotografato in mesi d’indagini, appostamenti e intercettazioni da un’operazione della Direzione distrettuale antimafia con la Squadra Mobile di Milano che ieri ha chiuso il sipario con reati che vanno dall’associazione mafiosa, al riciclaggio, usura, estorsioni, e, novità assoluta nel panorama dei crimini di origine calabrese, attività abusiva del credito finanziario. I soldi vanno e vengono tra imprese di edilizia, di gomme per auto, di cantieri navali a Viareggio perfino, e vengono poi dispersi in decine di società, schermati in Liechtestein, in società inglesi con nome internazionaliee filiali ad Hong Kong. È la crisi bellezza, e la ’ndrangheta è pronta ad approfittare. La rendita per Pensabene e i suoi complici era di 24 mila euro al mese solo sui prestiti a strozzo. Ma il patrimonio di cui si vanta il boss, ammonterebbe a «due, trecento milioni di euro in soldi e immobili, mio caro...» .«Ci vuole la Banca d’Italia per davvero con te...», commenta Maurizio Morabito, uno dei collaboratori del boss.