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 2014  marzo 05 Mercoledì calendario

ALTRO CHE HOMO SAPIENS NEANDERTHAL GIÀ PARLAVA


Chi l’ha detto che l’uomo di Neanderthal grugniva? Che non era in grado di parlare? Una complessa analisi tridimensionale su un osso di 60mila anni fa ci racconta un’altra storia. E ci permette di riconoscere per la prima volta uno straordinario resto fossile: quello della voce. L’osso in questione è lo ioide: situato a metà del collo, è quello su cui si attaccano la laringe e la lingua e su cui si inseriscono i muscoli che ci permettono di parlare. È un osso molto piccolo sganciato dagli altri, ed è anche per questo che, del Neanderthal, ne abbiamo un unico esemplare: un preziosissimo fossile rinvenuto nel 1989 nel sito israeliano di Kebara.
Un gruppo di antropologi dell’università di Chieti, guidati da Ruggero d’Anastasio, ha deciso di studiare questo ossicino nella sua struttura più fine e di capirne, oltre alla struttura, la funzione. Ha perciò coinvolto i fisici del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste che possiedono un sincrotrone, cioè uno strumento ad alta tecnologia capace di produrre raggi X molto precisi, in grado di vedere l’osso a livello molecolare e senza romperlo. E ha chiamato un gruppo di biomatematici australiani ad analizzare l’enorme quantità di dati prodotti dalla macchina.
L’idea dei ricercatori era quella di osservare dove e come ci fosse un maggiore impiego dei muscoli del collo e della gola. Siccome i muscoli che vengono impiegati di più provocano un ingrandimento della parte di osso in cui si inseriscono, l’analisi microscopica della struttura interna dello ioide avrebbe permesso di disegnare una mappa della funzione dei trentadue muscoli a lui collegati. Sarebbe stata, insomma, una specie di stampo della voce del Neanderthal che avrebbe a sua volta permesso di capire quanto potesse essere articolata in maniera fine, e quindi usata per parlare.
L’esperimento ha funzionato e la mappa della voce del Neanderthal è risultata uguale alla nostra. Cioè il suo osso ioide è risultato del tutto simile a quello che ciascuno di noi porta al collo, ma molto diverso da quello dei nostri parenti primati che non parlano, come bonobo e scimpanzé.
La parola è nata prima di noi, dice dunque la ricerca, e non è affatto una prerogativa solo di Homo sapiens. Insomma, tra i 200mila e 40mila anni fa altre voci risuonavano in Europa, e non erano nostre. La ricerca degli antropologi di Chieti è stata pubblicata sulla rivista scientifica americana Plos One e ha confermato quello che finora potevamo supporre solo in maniera indiretta, e non senza un certo sforzo di umiltà. I dati archeologici avevano mostrato che l’uomo di Neanderthal viveva in strutture sociali complesse, cosa impossibile da sostenere senza un sistema di trasmissione delle informazioni. Inoltre lo studio dell’impronta delle arterie meningee all’interno della volta cranica aveva suggerito la presenza nel cervello del Neanderthal di aree dedicate al linguaggio sovrapponibili alle nostre. In questo caso, l’idea è che siccome l’utilizzo di una parte di cervello provoca un aumento dell’afflusso ematico, l’arteria corrispondente lascia un segno maggiore sull’osso a cui è appoggiata. Ma anche questa è una prova indiretta. Il fossile della voce del Neanderthal, insomma, si poteva ottenere solo studiando l’osso ioide.
Adesso, spiegano i ricercatori, non resta che rivolgersi all’altra metà del cielo: chi ascolta. Cioè, grazie al sincrotrone, la stessa struttura fine trovata nell’osso della parola sarà presto cercata in quelli, ancora più piccoli, dell’orecchio.