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 2014  marzo 05 Mercoledì calendario

GLI IMPRENDITORI CHE SI RIVOLGEVANO ALLA BANCA DELLA ’NDRANGHETA IN BRIANZA

«Ma non è che mi chiamo Brambilla... mi chiamo sempre Giuseppe Pensabene», ironizza il boss, anni 48, scherzando col cognato. E sintetizza cosa è diventata la ‘ndrangheta nella «terra dei Brambilla», la Brianza più ricca e produttiva.
Perché lui è rimasto fedele alla sua vita criminale: quando è stato arrestato, ieri, era un «sorvegliato speciale»; nel 2010 gli avevano già sequestrato beni per 10 milioni. Ma Pensabene, il «Papa di Desio», negli anni seguenti ha creato un sistema economico parallelo per le aziende dell’opulenta provincia di Monza e di mezza Italia. Con una sorta di banca clandestina: disponibile per prestiti a usura; finanziamenti di aziende «amiche»; partecipazioni finanziarie; investimenti per acquistare oro in Senegal o costruire barche di lusso a Viareggio. E perché il denaro potesse fluire libero e sotterraneo, l’intero giro d’affari (centinaia di milioni di euro) era assistito da un circuito nero di 39 società: utili prima di tutto all’organizzazione, per blindare dentro «holding-cassaforte» tra Svizzera e Hong Kong il proprio patrimonio di immobili e conti correnti. Ma poi messe al servizio anche di commercianti, imprenditori e commercialisti «puliti» che avevano un pressante bisogno di fatture false: per evadere le tasse; spostare i guadagni fuori dai bilanci; creare fondi neri in contanti. Scrive il gip che ha firmato i 40 provvedimenti di arresto, scattati ieri dopo una lunga e complessa indagine finanziaria della squadra mobile di Milano guidata da Alessandro Giuliano: «Il vero dato nuovo e preoccupante è un intenso e disinvolto connubio tra forme evolute di associazioni mafiose e imprenditori, pronti a fare affari illegali insieme come se niente fosse».
È lo stesso Peppe Pensabene, nelle intercettazioni raccolte dai poliziotti dello Sco, a elencare i comandamenti di questa «nuova ‘ndrangheta» attiva tra Desio e Seveso: parlando dei suoi uomini, raccomanda che «come i polipi, i tentacoli si devono agganciare dappertutto, ci sono le condizioni per poterlo fare». Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che ha coordinato le indagini della Direzione distrettuale antimafia con il pm Giuseppe D’Amico, riflette su quali siano queste «condizioni»: «Purtroppo constatiamo che una classe imprenditoriale si è consapevolmente appoggiata a questo gruppo criminale». Per un paio d’anni Pensabene ha gestito i suoi affari in un monolocale senza finestre, a Seveso, che lui stesso definiva «tugurio». Lì era la banca della ‘ndrangheta. «In questo contesto — continua Ilda Boccassini —, imprenditori senza scrupoli hanno trovato una gran convenienza per favorire se stessi e non le proprie aziende o il bene della n3azione; altri, spinti dalla crisi, si sono rivolti a chi ha capitali freschi. Ma pur se vittime di usura, non hanno denunciato».
Capitali sempre a disposizione. Arrivavano agli uomini della ‘ndrangheta da un corriere in viaggio da Reggio Calabria a Milano; li recuperavano attraverso le estorsioni; li incrementavano con gli interessi dell’usura; riuscivano a ottenere provviste anche da 50 o 100 mila euro in un solo giorno grazie a funzionari corrotti delle poste di Paderno Dugnano e della filiale del Monte dei Paschi di Seregno (in cambio di mazzette, omettevano le segnalazioni antiriciclaggio). Il boss, senza neppure troppa ironia, dai suoi era definito la «Banca d’Italia»; e lui stesso si fregiava di essere una gigantesca «lavanderia». Alla sua corte si sono rivolti imprenditori «vittime» (di usura); imprenditori collusi (che sono poi entrati «nella famiglia» facendo affari assieme ai mafiosi); capi di piccole aziende che ricevevano contanti in cambio di bonifici maggiorati del 5 per cento per fatture false. In questa rete sono entrati anche due dirigenti di squadre di calcio: l’ex direttore generale della Spal Calcio, Giambortolo Pozzi, e il costruttore Antonio Rosati, ex presidente del Varese e ora vice presidente del Genoa (il gip Simone Luerti lo cita come un imprenditore «con il quale l’associazione concordava alcune speculazioni edilizie»).
Il «salto di qualità» dell’organizzazione è avvenuto con l’arruolamento di Emanuele Sangiovanni, 37 anni, broker romano residente in Svizzera, consulente per le architetture societarie. Domenico Zema, 46 anni, era invece un consigliere comunale di Forza Italia a Cesano Maderno nel 1999, poi finanziatore e collettore di voti per Massimo Ponzoni, ex assessore della Lombardia imputato per bancarotta e corruzione.
Dietro l’evoluzione di questa criminalità che si presenta sempre più «bianca», resta la minaccia della violenza. Pestaggi, intimidazioni. Ma limitati al minimo. Secondo l’ultimo comandamento: bisogna stare lontani «dalla droga, dalle armi... tu fai fatture, fai l’Iva... che c’entra la ‘ndrangheta».
Cesare Giuzzi
Gianni Santucci