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 2014  marzo 02 Domenica calendario

BERGOGLIO PRIMA DI FRANCESCO


«Una fredda mattina d’inverno, saranno stati tre anni fa. Fuori dalla baracca il mio cane si mise ad abbaiare. Non si comportava quasi mai così. L’ultima volta era stato circa tre mesi prima, quando un turista si era addentrato nella villa, si era perso, e il cane, non abituato a vedere sconosciuti, lo stava per azzannare. Anche questa volta gli urlai di smetterla, ma in tutta risposta abbaiò più forte. Così dovetti uscire e rimasi di stucco. A pochi passi c’era uno sconosciuto. Non era un turista. Era un uomo vestito da prete. Camminava da solo fra pozzanghere e fango. Appena si accorse di me, sorrise. E mi chiese: “Vado bene per Nuestra Señora de Caacupé, la parrocchia di padre Charlie Olivera?”. Gli risposi di sì. Mi sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma non ricordavo dove. Fu lui ad avvicinarsi e a presentarsi: “Grazie, sono padre Jorge”, mi disse».
Ramon Antonio Garcia è uno dei tanti invisibili di Buenos Aires. Sopravvive guidando un remis, una scalcinata auto che all’occorrenza diventa taxi privato. Va a prendere quei pochi avventurieri che desiderano farsi un giro nel cuore delle baraccopoli intorno alla città, non solo la sua, la villa 21, anche altre. Si tratta quasi sempre di giornalisti, o di turisti desiderosi di curiosare dentro il lato più duro e oscuro di Baires. Chiamano Garcia perché è troppo rischioso addentrarsi in villa senza un accompagnatore. «Perché qui dentro — racconta — la vita ha poco valore; c’è sempre chi è disposto a uccidere per una manciata di pesos ». Per questo Garcia, quando vide Bergoglio, rimase senza parole. Ignorava il fatto che da anni, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires si comportava così. Spesso lasciava da solo il centro della città e, a volte in metropolitana, altre in treno oppure in autobus, arrivava fino ai bordi di una delle villas. E poi avanti, da solo, a piedi. Perché? «Perché qui c’è il suo cuore», spiega padre Gustavo Carrara, parroco alla villa del Bajo Flores. «Qui, fra chi non ha nulla. E non altrove».
Fu Bernardo Verbitsky nel 1957 a scrivere Villa Miseria también es América. Raccontò delle terribili condizioni di vita dei migranti interni durante la cosiddetta decade infame. E coniò per queste baraccopoli di lamiere e nulla, il nome di villas miserias. Più volte vari governi hanno provato a “sradicare” il fenomeno, abbattere le baracche, spostare altrove i suoi abitanti. Ma non ci sono mai riusciti. I poveri hanno resistito, una spina sempre pronta a pungolare col suo solo esistere il fianco dei quartieri più ricchi, i barrios con ristoranti di lusso nei quali Bergoglio non ha mai voluto mettere piede. Nel 2009, quando la Caritas diocesana vi andò per festeggiare un collaboratore, Bergoglio non la prese bene. Andò in tv, sul Canal 21, e disse: «In un centro della Caritas avvengono cose che non dovrebbero accadere. Hanno fatto una festa e la festa è stata allestita in uno dei trentasei ristoranti di lusso che ci sono a Puerto Madero, dove la cena più economica costa 250 pesos. Trentasei ristoranti che stanno a un chilometro da un tugurio di una villa miseria. Se tu entri nell’ambito della solidarietà della Caritas i tuoi abiti devono cambiare. Non puoi permetterti lussi che prima della tua conversione ti concedevi».
Quando nel 1998 Bergoglio divenne arcivescovo di Buenos Aires decise di abitare in una piccola stanza di tre metri per due in cima al palazzo della curia. «È da questa piccola stanza, un letto, un armadio per i vestiti e una scrivania, che guidava la diocesi», racconta Federico Walls, suo portavoce in diocesi. «Per anni l’appartamento arcivescovile più grande è rimasto vuoto. Si ricordava della sua esistenza soltanto quando gli regalavano dei libri. Ringraziava, e li mandava lì».
Già, i libri. Prima di partire alla volta del conclave che lo avrebbe eletto “vescovo di Roma”, giusto un anno fa, Bergoglio aveva iniziato a regalare anche i volumi a cui era più affezionato. «Si stava disfacendo delle sue cose — racconta ancora Walls —: da un anno e mezzo aveva dato le dimissioni da arcivescovo e aspettava il nome del successore. Voleva ritirarsi nella casa sacerdotale di Buenos Aires. Quando partì per Roma provai a dirgli: “Chissà se ci rivedremo”. Mi rispose: “Federico, ci rivediamo presto”. Non pensava alla possibilità di essere eletto. Pensava di tornare fra la sua gente e di andare in pensione».
Intorno alla città ci sono diverse villas miserias, abitate da almeno trecentomila persone. Condizioni di vita difficilissime. La maggior parte vengono dal Paraguay, Bolivia, Perù. «Gente povera: viene, si installa su un terreno, costruisce una baracca», spiega padre Carrara. «L’assenza dello Stato che non fornisce nulla, né case, né luce, né gas, ha favorito il crearsi di un’organizzazione parallela. Certo, c’è anche violenza. Ci sono armi e droga. Ma c’è anche tanta luce. La luce dei poveri».
Quindici anni fa l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, destinò a questa gente una ventina di sacerdoti, tutti con meno di quarant’anni, i migliori fra i preti della diocesi. Il modello a cui guardare, ovvero il primo cura villeros, fu Carlos Mujica, sacerdote vicino alla sinistra peronista, assassinato l’11 maggio 1974 davanti alla chiesa di San Francisco Solano, nel quartiere operaio di Mataderos. «Quelli che militavano in formazioni politiche lo consideravano un leader politico. Ma per la gente della villa era semplicemente el padrecito», ha raccontato Guillermo Torre, suo successore alla chiesa di Cristo Obrero, a villa Retiro. Bergoglio non giudicò mai la vicinanza di Mujica alla sinistra peronista. Capì dal sacerdote assassinato quanto fosse importante che i poveri delle villas avessero dei sacerdoti che vivessero assieme a loro. Per un certo periodo una parte del clero provò a riproporre il modello dei “preti operai”. Ma la loro azione non veniva compresa dalla gente. Mujica capì che coi poveri non occorreva tanto lavorare, quanto stare, viverci assieme, condividere tutto, senza seguire particolari strategie di riscatto sociale. «È questa l’unica legge che Bergoglio vuole dai noi preti delle villas— dice padre Carrara — stare e ricevere la vita di tutti i giorni, come viene. I poveri chiedono condivisione, non progetti. Io vivo con loro e imparo da loro. Se un povero ha bisogno di andare in ospedale, io lo accompagno. Sto con lui tutto il giorno, in fila, ad attendere. Non faccio altro».
Stare e imparare. L’opposto di una Chiesa che, dall’alto, magari senza sporcarsi le mani, propone soluzioni. Racconta ancora padre Carrara: «Bergoglio parlava sempre della necessità di stare dietro al gregge, non davanti. Ho capito cosa significa questa cosa quando qualche mese fa mi hanno chiamato in una baracca perché a una coppia di villeros era appena morto il figlio di cinque anni. Mentre andavo ero preoccupato. Pensavo “e adesso che cosa dico loro?”. Arrivato nella baracca ho capito che non sono io a dover dire, a dover insegnare. Sono loro, i poveri, che insegnano a me. Il bimbo era adagiato su un piccolo tavolo. I genitori l’avevano vestito di bianco e gli avevano attaccato alle braccia due ali di cartone. Mi hanno detto: “Adesso nostro figlio è un angelo. Vive in cielo”. Nella disperazione più grande mi hanno insegnato cosa significa avere fede».
Poteva essere in un calda sera d’estate, o anche la mattina presto, quando le piogge torrenziali di Baires trasformano le villas in paludi. Bergoglio arrivava senza avvisare. Da solo, a piedi. Non aveva paura. Prima di raggiungere il cuore delle baraccopoli, la parrocchia con i suoi preti, impiegava diverso tempo. Si fermava a chiacchierare, entrava nelle baracche. A volte, dice padre Carrara, accettava anche di recitare una messa direttamente in una casupola di fortuna. Un agosto di qualche anno fa tenne un’omelia indimenticata. Era la festa di san Cayetano, protettore di operai e disperati: «Vi faccio una domanda: la Chiesa è un posto aperto solo per i buoni? C’è posto per i cattivi, anche? Sì. Qui si caccia via qualcuno perché è cattivo? No, al contrario, lo si accoglie con più affetto».