Giampaolo Visetti, la Repubblica 2/3/2014, 2 marzo 2014
“SCHIAVE DEL SESSO, NIENTE SCUSE” LO SCHIAFFO DEL GIAPPONE DI ABE
Il passato non risolto torna a dividere le super-potenze dell’Asia, sempre più scosse dall’esplosione del nazionalismo e sull’orlo di una crisi che allarma anche gli Usa. A riaccendere l’odio popolare in Cina e Corea del Sud è ancora una volta il premier giapponese Shinzo Abe, deciso a riesaminare la “Dichiarazione Kono” del 1993, con la quale Tokyo chiese scusa per le schiave sessuali sfruttate dall’esercito imperiale durante la seconda guerra mondiale. A migliaia, dopo l’invasione di Corea e Cina, furono costrette nei bordelli militari giapponesi, venendo definite “donne di conforto”.
Stupri e sparizioni hanno scavato ferite mai rimarginate. Vent’anni fa Tokyo porse le «sincere scuse del popolo giapponese » dopo la testimonianza di sedici sopravvissute coreane, che portò il governo dell’epoca a riconoscere la complicità nipponica nel sistema della schiavitù di guerra. Il conservatore Abe, accusato di «revisionismo» e di spostare il Giappone su posizioni sempre più di estrema destra, ha ora annunciato di aver istituito una commissione per il «riesame delle scuse del 1993». Inutile l’intervento dell’ex premier, che incontrò i protagonisti delle violenze confermando che «la complicità delle autorità di Tokyo è un fatto evidente».
Dopo lo scoppio dello scontro con Pechino per le isole contese nel Mar Giallo, Abe soffia sul fuoco del montante nazionalismo interno e alimenta i risentimenti di chi ha sempre considerato ingiusta la tragica pace imposta al Giappone nel 1945 dall’atomica Usa. Deciso a riavviare le centrali nucleari chiuse dopo la crisi di Fukushima, Abe ha promesso di abolire la Costituzione pacifista postbellica, lanciato la corsa al riarmo ed evitato di condannare recenti episodi di razzismo e antisemitismo. A fine dicembre ha fatto infuriare la Cina visitando il santuario di Yasukuni, dove oltre ai caduti giapponesi sono sepolti 14 ufficiali che Pechino e Seul considerano criminali di guerra. Un crescendo di provocazioni, sostenuto da nostalgici e neo-nazisti, che a metà febbraio ha indotto la Casa Bianca a inviare in Asia il segretario di stato John Kerry, sia per evitare che si rompa l’asse Giappone- Corea del Sud, in chiave anti- Pechino e anti-Pyongyang, sia che precipiti il conflitto sino-giapponese.
Anche in Cina si rafforzano infatti propaganda nazionalista e vecchi rancori contro gli ex invasori. Il governo ha annunciato che il giorno del massacro di Nanchino del 1937, quando i soldati giapponesi uccisero 300 mila civili cinesi, e quello della vittoria sul Giappone nel 1945, saranno onorati come festività nazionali. Un tribunale di Pechino ha accettato la richiesta di risarcimento di alcuni ex prigionieri cinesi che furono sfruttati dai giapponesi per lavori forzati, come altre migliaia. In Cina, come in Corea del Sud, la svolta a destra di Tokyo semina nuovi risentimenti, con imprese ed espatriati giapponesi che vivono nell’incubo di rappresaglie. Il Quotidiano del popolo ieri ha lanciato un gioco on line che offre ai lettori la possibilità di sparare ai 14 criminali di guerra giapponesi sepolti a Yasukuni, tra cui l’ex premier Hideki Tojo. Una tensione prossima al limite, in cui un incidente casuale può ormai degenerare in una guerra asiatica. Prospettiva che, oltre agli Usa e alle Borse, spaventa ora anche un’Europa già scossa dall’intervento di Mosca in Ucraina.