Sergio Romano, Corriere della Sera 2/3/2014, 2 marzo 2014
STORIA DI UN GRANDE QUADRO DA PERUGIA A ROMA VIA PARIGI
Ho letto che in base al trattato di Tolentino del febbraio 1797 i francesi approfittarono della vittoria di Napoleone per svaligiare opere d’arte appartenenti allo Stato della Chiesa. Si parla dello Sposalizio della Vergine, che è un dipinto a olio su tavola del Perugino, originariamente destinato alla Cappella del Santo Anello nel Duomo di Perugia, dove era conservata la reliquia dell’anello nuziale della Vergine. Il dipinto, in seguito alla confisca, fu consegnato al cardinale Joseph Fesch e venne poi acquistato, nel 1845, da un libraio di Caen in Normandia, Bernard Mancel, il quale nel 1872 lo cedette in dono al Musée des Beaux-Arts di Caen. Ogni tentativo del comune di Perugia di riavere l’opera andò fallito. Invece la Pala dei Decemviri è un dipinto a olio su tavola anch’essa di Pietro Perugino, databile al 1495-1496 ed è attualmente conservata nella Pinacoteca Vaticana a Roma. Come mai è stata più fortunata la richiesta di restituzione?
Antonio Fadda
antoniofadda2@virgilio.it
Cara Fadda,
Nelle istruzioni che il Direttorio dette al generale Bonaparte, mentre si accingeva a scendere in Italia nel 1796 , vi era l’ordine di esigere dal nemico sconfitto, a titolo d’indennizzo, una parte del suo patrimonio artistico. Fu così che in tutti gli armistizi e i trattati di pace, stipulati da Napoleone durante la sua vittoriosa campagna, vi fu una clausola che quantificava l’indennizzo ed elencava le opere (pitture, sculture, vasi) destinate a Parigi. Il bottino più consistente fu quello delle cento opere strappate agli Stati pontifici. Una parte (settantasei) fu recuperata da un eccezionale ambasciatore papale, lo scultore Antonio Canova, dopo la fine delle guerre napoleoniche e la restaurazione della monarchia borbonica. Per spiegare l’incompletezza del recupero, Canova scrisse al Papa che alcuni quadri erano letteralmente scomparsi, altri erano finiti nelle collezioni reali, altri ancora erano stati assegnati alle chiese; «e quelli nelle chiese suppongo che a Sua Santità non sarà discaro rilasciarli (traduco in italiano d’oggi: spero che non le spiacerà lasciarli dove stanno)».
Lo sposalizio della Vergine rientra probabilmente nella categoria delle opere difficilmente recuperabili. Joseph Fetsch, nato in Corsica da padre di origine svizzera, era fratellastro di Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, e quindi zio dell’imperatore. Dopo essere divenuto sacerdote e avere aderito alla costituzione civile del clero, Fetsch aveva ottenuto una diocesi vescovile, era diventato consigliere ecclesiastico del nipote, era stato nominato cardinale e aveva largamente approfittato di tutti i benefici che l’imperatore elargiva generosamente ai membri della famiglia. Ma non aveva smesso di coltivare i suoi rapporti con la corte papale e aveva reso a Roma qualche utile servizio. Quei servizi vennero ripagati da Pio VII quando Fetsch, dopo Waterloo, dovette lasciare la Francia e la sua arcidiocesi di Lione. Come Maria Letizia, trovò accoglienza a Roma e impiegò il resto della sua vita (morì nel 1841) dedicandosi al museo di Ajaccio in cui riunì le opere di una notevole collezione.
Quanto alla Pala dei Decemviri (nota anche come la Madonna in trono fra i santi Costanzo, Ercolano, Lorenzo e Ludovico da Tolosa), non tornò a Perugia perché la Curia volle che restasse a Roma, destinata a diventare, nelle intenzioni del papato, il maggiore custode dell’arte greco-romana e cristiana. Perugia si batté per riaverla, ma dovette cedere alle ambizioni di un altro impero, non meno potente di quello di Napoleone.