Andrea Galli; Gianni Santucci, Corriere della Sera 2/3/2014, 2 marzo 2014
LA PESCA, I SUPERMERCATI, I CASINÒ GLI AFFARI DELLA MAFIA IN EUROPA
Capitali in fuga. Capitali mafiosi. Patrimoni che escono dall’Italia e invadono l’Europa per fondare aziende di pesca nelle Asturie, alberghi a Valona, palazzi in Costa azzurra. Così investono le mafie. Oggi più che in passato. L’anno scorso, l’Unità di informazione finanziaria (ufficio di intelligence della Banca d’Italia) ha ricevuto 60 mila segnalazioni di operazioni sospette, per un valore complessivo di 85 miliardi di euro. A questa massa di denaro dai movimenti ambigui, bisogna aggiungere tutte le segnalazioni che arrivano dall’estero e riguardano l’Italia. Delocalizzazione del capitale e dell’impresa criminale. Germania e Francia, Spagna e Croazia, Romania e Albania sono sempre più un’Europa di conquista per la ‘ndrangheta, e a seguire per camorra, mafia e sacra corona unita. Lo ribadiscono le ultime elaborazioni di Transcrime, il Centro di studi sulla criminalità dell’università Cattolica, che saranno presentate domani a Milano. Col tentativo di rispondere a una prima, basilare, cruciale domanda: perché?
Segreti e strategie criminali
Franco Roberti è il procuratore nazionale antimafia. Dice: «Abbiamo constatato che gli investimenti delle organizzazioni criminali italiane si spostano all’estero dove minore è la pressione investigativa, e dove ordinamenti e sistemi di contrasto sono più deboli. Le strategie criminali cercano di sfruttare il differenziale di normativa tra Stato e Stato». E infatti, il riconoscimento del reato di associazione mafiosa e le misure di prevenzione per i sequestri esistono per esempio soltanto in Italia. Nonostante alcuni passi avanti compiuti negli ultimi anni, l’aggressione degli investimenti mafiosi fatica a varcare i confini. Lo dimostra uno degli elementi chiave nelle ricerche di Transcrime: mentre la maggior parte delle confische in Italia riguarda aziende e società, il 70% delle ricchezze sottratte alle nostre mafie all’estero è costituito da contanti e macchine (oppure altri veicoli). «In questo quadro — conclude il procuratore Roberti — l’armonizzazione degli ordinamenti in Europa e la cooperazione internazionale saranno il fronte decisivo per il contrasto alle mafie».
Dalla strage agli appalti
La mattanza di Duisburg, sei italiani uccisi in una faida di ‘ndrangheta nel Ferragosto 2007, «non fu considerata una spaventosa avvisaglia ma un semplice incidente di percorso». Del resto oggi, nemmeno sette anni dopo, le cosche calabresi girano come avvoltoi intorno a Stuttgart 21 , mega progetto di riqualificazione urbana a Stoccarda, in Germania, con una nuova stazione ferroviaria e soprattutto nuovi quartieri. Cioé appalti, miliardi e governo del territorio. Petra Reski, giornalista e scrittrice tedesca, su malaffare e cosche ha scritto inchieste dopo inchieste, ma «sempre nel disinteresse totale» di lettori e istituzioni. In Germania, dice Reski, «la ‘ndrangheta è vista come fenomeno di folclore». Sapete chi avevano invitato tempo fa al prestigioso Museo delle culture di Berlino per parlare delle mafie italiane? Un produttore di canzoni di malavita: testi che inneggiano ai boss, ai latitanti, ad arcaici codici di malavita. Sono tutti elementi che le strategie criminali tengono in gran conto: «In Europa, gli investimenti mafiosi — spiega Ernesto Savona, docente dell’università Cattolica di Milano e direttore di Transcrime — si adattano per sfruttare le vulnerabilità dei luoghi in cui migrano. Per questo nei Paesi dell’Est puntano su casinò, sale gioco, aziende di import-export che sfruttano anche per altri traffici illegali».
Se l’Europa copia i vizi italiani
Le 60 mila segnalazioni di operazioni bancarie sospette «sono la dimostrazione di una rete di controllo capillare e che ha mostrato la sua efficacia in molte recenti inchieste — riflette Walter Mapelli, oggi procuratore capo a Lecco ed esperto di reati finanziari —. Ma ricondurre i movimenti bancari sospetti a un’origine mafiosa è una questione più complessa. Proprio perché la massa delle informazioni è mastodontica, diventa complicato discernere le spie importanti e incanalarle nella catena di approfondimenti successiva: ufficio informazioni finanziarie, Guardia di finanza, Procure».
Le mafie poggiano su una geografia estesa e ramificata. Sulle succursali estere dei clan si lavora anche negli atenei più prestigiosi del mondo, come Oxford, dove insegna il professore (italiano) Federico Varese. Agli studenti, Varese illustra la capacità delle mafie di insediarsi, d’infilarsi negli apparati del potere e della burocrazia, di trovare consenso e naturalmente di riciclare denaro. Un’ondata così potente che, esorta il professore, se l’Europa davvero vuole arginare le mafie ha tre priorità non rinviabili: «Rendere possibile la confisca dei beni mafiosi fuori dall’Italia, accelerare i percorsi di estradizione dei criminali e allargare a tutto il continente il reato di associazione mafiosa. Ma vi sono resistenze in parecchie nazioni». Per forza. In Europa, dice Enzo Ciconte, scrittore, politico, fra i massimi esperti di organizzazioni criminali, si sta ripetendo un errore italiano. Quando «il Nord era convinto che le mafie fossero una questione del Sud e si è ritrovato i boss in casa, svegliandosi troppo tardi». All’estero «insistono nel minimizzare il fenomeno del capitale criminale e nel considerare la violenza come unica manifestazione dell’esistenza dei clan». Sbagliato. «Viene dimenticata la portata devastante della corruzione. La corruzione e la criminalità si mischiano e si alimentano vorticosamente a vicenda. Avvelenano e fanno marcire».
Andrea Galli
Gianni Santucci