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 2014  marzo 02 Domenica calendario

IL GOVERNO, LE BANCHE E LE SCELTE DEL MINISTERO QUELLA RETE DI SALVATAGGIO PER SORGENIA


Si chiama in gergo tecnico capacity payment , ed è un salvagente formidabile per quanti oggi producono ancora energia elettrica con il gas: a causa del boom delle energie rinnovabili e della crisi economica che ha affossato i consumi di energia le loro centrali restano spente la maggior parte del tempo. E i bilanci vanno a picco. Ecco allora spuntare quella miracolosa formula inglese, che si può tradurre così: i proprietari degli impianti termoelettrici vengono pagati lo stesso anche se le turbine non girano, semplicemente perché potrebbero produrre. Una specie di imposta sulla riserva di capacità produttiva che entrerebbe in azione quando ce ne fosse la necessità, in grado di dare un bel sollievo ai conti malandati di alcuni produttori. Quella tassa esiste già, ma i produttori vogliono molto più dei 150 milioni del vecchio capacity payment . Secondo Assoelettrica ed Energia concorrente, per tenerli a galla servono almeno 600 milioni l’anno fino al 2017. L’hanno scritto in un dossier di una decina di pagine spedito nelle stanze che contano con la dicitura «Riservato».
Chi sta peggio di tutti è Sorgenia, gruppo che fa capo alla Cir di Carlo De Benedetti, editore di Repubblica e del gruppo L’Espresso. Si trova a un passo dall’avvitamento finanziario: fra tre settimane finirà i soldi in cassa. Il debito sfiora quota 1,9 miliardi. A metà degli anni Duemila le banche le avevano concesso generosi finanziamenti per realizzare centrali a turbogas. Ma allora il mercato tirava. Poi, in soli cinque anni, è cambiato tutto. Alla crisi economica e al boom delle rinnovabili si è aggiunto l’alto costo dei contratti di acquisto del gas a lungo termine, i cosiddetti take or pay . Risultato: con una produzione ridotta al 20 per cento e un debito diventato insostenibile per almeno 600 milioni, nel solo terzo trimestre 2013 Sorgenia ha messo a bilancio una perdita di 434 milioni: cento in più di quanti De Benedetti ne abbia incassati da Silvio Berlusconi dopo la sentenza sul caso Mondadori.
E qui si apre uno scenario incandescente. Con tre protagonisti: il premier, l’editore di Repubblica e il suo avversario di sempre, Berlusconi. Il marchio di fabbrica è come sempre di Beppe Grillo: «Mettete Renzi e al posto del burattino Pinocchio e Berlusconi e De Benedetti nei ruoli del Gatto e della Volpe». Rispettando il gioco delle parti, da settimane i giornali e i commentatori della destra non danno tregua a De Benedetti, individuato come il manovratore occulto del governo di Matteo Renzi. E non soltanto da loro, se è vero che «il Secolo XIX», certo non un quotidiano berlusconiano, raccontando come ai colloqui per il governo avesse partecipato nella delegazione socialista Vito Gamberale, amministratore del fondo F2i «in trattativa con il gruppo «L’Espresso» per il nuovo operatore delle frequenze digitali», commenta: «Una presenza che non contribuisce ad allontanare l’ombra di De Benedetti dal tentativo di Renzi».
Tutto parte dall’ormai famosa telefonata di Fabrizio Barca con l’imitatore di Nichi Vendola mandata in onda dalla «Zanzara», in cui l’ex ministro parlava delle pressioni subite «dal padrone di Repubblica, con un forcing diretto di sms, attraverso un suo giornalista» per accettare l’incarico di responsabile dell’Economia. Ma poi la cosa dilaga. Il tam tam è inarrestabile. Intervistato dal giornale online ilsussidiario.net l’economista Francesco Forte, editorialista del «Foglio» di Giuliano Ferrara, si chiede: «Non è un caso che la nomina di Renzi sia arrivata, con un’accelerata, nel momento delle nomine? Lui, forse, quest’accelerata, non la desiderava neanche ma ora sarà tenuto a renderne il servizio...» E dopo che «Repubblica», a poche ore di distanza dalla formazione del governo, ha puntato il dito contro il conflitto d’interessi del ministro dello Sviluppo, l’ex presidente dei giovani di Confindustria Federica Guidi, stigmatizzandone anche le presunte simpatie berlusconiane, il «Giornale» della famiglia Berlusconi titola: «Repubblica attacca la Guidi per i debiti di De Benedetti». Sottolineando proprio la difficile situazione di Sorgenia.
Il fatto è che questa vicenda è destinata a incrociare tanto la strada del governo Renzi quanto quella delle prossime nomine pubbliche nelle aziende di Stato. E magari anche quella del Cavaliere. Ma qui è necessario fare un passo indietro, tornando alle ultime settimane del governo di Enrico Letta. Le pressioni della Confindustria perché si risolva quel problemino dei produttori termoelettrici sono incessanti. Finché nella legge di Stabilità spunta una norma che apre la strada proprio a quella formuletta inglese: «capacity payment». Fissando però soltanto il principio: a stabilire quanti soldi e a chi concretamente andranno, toccherà al ministero dello Sviluppo, sentita l’Authority, entro la fine di marzo 2014. Al ministero c’è il bersaniano Flavio Zanonato, attorniato da altri bersaniani. Il segretario generale è Antonio Lirosi e il capo di gabinetto Goffredo Zaccardi, che aveva lo stesso incarico con Pier Luigi Bersani: il quale non può certo essere considerato nemico di De Benedetti. Anzi. Sorgenia esiste proprio grazie alle liberalizzazioni introdotte dall’ex ministro dell’Industria Bersani. E ora il salvataggio è nelle mani di Renzi e Guidi.
Il nemico rischia di essere il tempo. Le banche hanno chiuso i rubinetti, il socio austriaco Verbund non vuole più tirare fuori un euro e Rodolfo De Benedetti, il figlio di Carlo, è disposto a mettere nel buco nero soltanto un centinaio di milioni. Il rischio di dover portare i libri in tribunale è reale. E l’eventuale fallimento non risparmierebbe le banche, la cui esposizione è vertiginosa. Tanto che queste stanno valutando la possibilità di trasformare parte dei loro crediti in capitale, ripetendo il copione già sperimentato con l’immobiliare Risanamento di Luigi Zunino e con la Tassara di Romain Zaleski. Se ne parlerà domani a un vertice forse decisivo. Ben sapendo due cose. La prima: senza l’aiutino dello Stato Sorgenia rischia comunque di andare a picco, come riconosce lo stesso piano finanziario della società. La seconda: la soluzione definitiva è la cessione del gruppo energetico che fa capo a De Benedetti.
E di candidati italiani con le spalle abbastanza grandi non ce n’è che uno. L’Eni di Paolo Scaroni: un manager che nel 2002 è stato designato alla guida dell’Enel e che poi è stato nominato per ben tre volte ai vertici del grande gruppo petrolifero ancora controllato dal Tesoro. Cementando anche attraverso l’assidua presenza dell’Eni in Russia i rapporti tra l’ex premier Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Corre voce che nei colloqui con Matteo Renzi il Cavaliere abbia chiesto (e ottenuto?) un impegno a preservare, con le nomine che il governo dovrà fare nelle prossime settimane, le posizioni di Scaroni e dell’attuale capo dell’Enel Fulvio Conti all’interno del sistema delle grandi aziende pubbliche.
Da una parte il capacity payment rinforzato. Dall’altra l’intervento successivo dell’Eni. Gli ingredienti per uno dei classici feuilleton all’italiana, nei quali la politica e gli affari si amalgamano in un abbraccio incestuoso, ci sono tutti. Con effetti pirotecnici a cascata. Perché se trasformando i crediti in azioni le banche diventeranno proprietarie di Sorgenia, magari lo Stato, attraverso l’Eni, darà un aiutino determinante anche a loro. Il secondo, dopo quello della rivalutazione delle quote di Bankitalia che ha fatto imbestialire i grillini. La prima della lista, la più esposta di tutte? Il Monte dei Paschi di Siena, nelle mani di una fondazione già a trazione Pd...