Emanuele Gamba, la Repubblica 4/3/2014, 4 marzo 2014
QUEL BAMBINO NATO CAMPIONE MANASSERO ORA VUOLE UN MAJOR
Matteo Manassero, lei ha 20 anni e di mestiere fa il campione: riesce ad accettare il fatto di non poter essere ragazzo?
«Lamentarmi non posso. Ma a volte è limitante. Un esempio scemo: ci ho messo sei mesi a prendere la patente, mai tempo per le lezioni. Però è limitante anche andare a scuola sei giorni alla settimana per sei ore di fila».
Limitante studiare?
«Beh, è giusto farlo, non vorrei scatenare un putiferio. Fino alla quarta liceo l’ho fatto anch’io, però poi ho scelto il golf».
E una vita in viaggio. La appaga?
«Grosso modo, sto lontano da casa 26 settimane l’anno. Ma mi piace. Spostarmi mi rilassa: quando sto dieci ore in volo stacco dal mondo, l’unico vero momento di pace. Poi, quando atterro, non vedo mai posti nuovi, solo campo e albergo, ma sono felice, Quello è il mio mondo».
Non si sente troppo adulto, per gli anni che ha?
«Ho fatto esperienze di vita che se stai a casa non fai. Gli amici, è vero, li vedo poco. Un po’ di più Anna, la mia fidanzata, golfista come me. Ma non mi pesa, non soffro. Se non volessi essere esattamente nel posto in cui sono non farei una bella gara. Mai provata, la frustrazione. E poi, parliamoci chiaro, come potrei definire un sacrificio partire per San Francisco o Miami?».
Essere milionari a vent’anni aiuta?
«Sapevo quanto si guadagnava anche prima di diventarlo, non si gioca per quelli. Non giochi pensando al premio, anche se poi noi europei diciamo “sono arrivato terzo” e gli americani “ho guadagnato tot”».
Si è tolto qualche sfizio, col primo milione?
«Neanche uno. Però ho preso casa, vicino a Milano. Per essere vicino a Malpensa».
Campione di golf, italiano, giovane: tre definizioni mai accorpate in una persona sola.
«Io sono un caso, un eccezione: lo riconosco. Ci mettevo professionalità già da bimbo».
E se papà non l’avesse portata al golf?
«Veramente, ho fatto tutto da solo. Ma la prima volta che sono entrato in un negozio di giocattoli ho visto nelle mazze di plastica e mi sono messo a piangere finché non me le hanno comprate. E quando avevo tre anni e frignavo per calmarmi mettevano una videocassetta di Ballesteros. Non so spiegare questo tipo di attrazione per il golf. Credo di averlo nel sangue, nei geni. È una del cosa del tutto spontanea, naturale. Ma è questo che mi ha portato a essere così precoce».
È stufo di sentirsi dire che Manassero è stato il più giovane a vincere questo e quello?
«Non posso essere contrariato, perché è la verità».
L’ambizione dove la porterà?
«A divertirmi, perché mi diverte. E poi a vincere un major, prima o poi».
Anche a diventare il numero uno?
«Chiaro. Posso permettermi di sprecare una settimana, potrei anche perdere tre anni interi e rimarrei precoce lo stesso. Me lo devo ricordare più spesso: se gioco male per un mese, non è l’ultimo della mia vita. La vita ce l’ho ancora tutta davanti».
Bernard Shaw diceva che per giocare a golf non è necessario essere stupidi, ma aiuta. Aveva ragione?
«Come aforisma è un po’ esagerato ma non del tutto falso. Essere gnucco va bene: aiuta a non pensare. Se quando giochi sei sereno e non vedi il problema, è solo meglio ».
Ha uno psicologo che lo aiuta?
«Mi basta il mio allenatore».
Come ci si diverte, giocando a golf?
«Io variando i colpi, completando un giro senza sbagliare. È bello quando tiri e la pallina va dritta, quando cammini e imbuchi il putt».
Come ci si diverte, guardando il golf?
«Scrutando le espressioni, gli atteggiamenti nei colpi sotto pressione: il giocatore di classe è imperturbabile, sempre. E poi osservando l’eleganza e il ritmo del gesto tecnico, l’equilibrio perfetto dello swing».
Chi sarà Matteo Manassero tra dieci anni?
«Magari un padre, ma come faccio a dirlo adesso? Di sicuro sarò golfista sempre».
Non avrebbe potuto essere altro, nella vita?
«Non credo: in quel negozio di giocattoli devo aver capito il mio destino ».