Chiara Pasetti, Il Sole 24 Ore 2/3/2014, 2 marzo 2014
SÉVERINE, LA PRIMA REPORTER
Ci sono figure del passato, anche di un passato abbastanza recente, che più di altre hanno contribuito a fare la storia delle Idee, della cultura e della società in cui viviamo oggi. Tra queste, ci sono donne che vengono degnamente ricordate, ma ce ne sono altrettante e, forse, (tristemente) ancor di più, che il tempo ha fatto cadere nell’oblio, o ha iscritto nell’alveo di una curiosità da specialisti, studiosi, o nostalgici. Il nome di Séverine, pseudonimo di Caroline Rémy (1855-1929), ha il triste privilegio di essere fra quelli meno citati e conosciuti quando si parla delle grandi donne a cui tutti, in fondo, siamo un po’ debitori. La "grande Séverine", come veniva chiamata ai suoi tempi, non può non entusiasmare chiunque abbia a cuore la cultura nel senso più ampio del termine. Bellissima, libera e ribelle, lunghi capelli rossi e occhi blu, la giovane Caroline detta "Line" era un «seme selvaggio nell’ortaglia di casa», come la descrive la nonna, che ne intuì il talento e ne accolse benevolmente le ansie giovanili di libertà. All’età di 28 anni, a Bruxelles, conosce Jules Vallès, idolo dei rivoluzionari, anarchico creatore del Cri du peuple, grande scrittore della Comune.
Questo incontro cambierà la sua vita: egli fece «della bambolina che ero allora, una creatura semplice e sincera, mi donò un cuore e un cervello di cittadina, mi insegnò a riflettere e, da piccola borghese che ero, a occuparmi della miseria umana, a misurarne la profondità» Di lì a pochi anni diventerà la prima "reporter", la prima donna che riuscì a vivere, non senza difficoltà, dei suoi papiers, della sua penna. Dalle pagine del Cri, di cui, alla morte del suo maestro e "padre", assunse la direzione fino al 1888, scegliendo di firmare i suoi articoli con il nome di Séverine, denunciò ogni genere di ingiustizia e di prevaricazione. Si buttò fra le fiamme in occasione del terribile incendio all’Opéra-Comique di Parigi per raccogliere le testimonianze dei feriti; scese nelle miniere di Saint-Étienne a seguito di un’esplosione di grisù per raccontare le sofferenze dei minatori; si travestì da operaia partecipando agli scioperi degli anni Novanta dell’Ottocento. La sua penna sagace e pungente le fece guadagnare in breve tempo importanti collaborazioni con i principali giornali dell’epoca, come Le Gaulois, L’Éclair, L’Écho de Paris. Mentre alcuni quotidiani, soprattutto quelli antisemiti, la attaccavano violentemente, gelosi dell’ammirazione che suscitava fra i colleghi e il popolo, e la soprannominavano Notre-Dame de la Larme à l’œil, lei, incurante e fiera, iniziava l’avventura più appagante della sua vita, quella con il giornale La Fronde, fondato da Marguerite Durand nel 1897, in cui tutti gli impiegati erano rigorosamente donne, pagate con lo stesso compenso dei colleghi uomini; un giornale «per tutte le donne» dove, come scriveva la direttrice, «non si attaccherà nessuna religione, nessuna razza».
Molto inviso ai suoi esordi, veniva schernito con frasi come «comprate la Fronde, l’organo delle donne!». Su queste pagine, nella sua rubrica intitolata Notes d’une frondeuse, perché frondista si rivendicò sempre, seguì con passione e compassione le vicende del caso Dreyfus. Orgogliosa di stare accanto ai grandi intellettuali dell’epoca, Zola, Clemenceau, Anatole France, Jaurès, Lazare, con i quali contribuì a fondare la Ligue des droits de l’homme, si assunse il rischio di ripubblicare il celebre J’Accuse di Zola, salutando il gesto dello scrittore, «in questi tempi di viltà e fiacchezza», come un grande atto «di coraggio morale». Il suo ultimo discorso tenuto in pubblico a 72 anni, nel 1927, fu per tentare, invano, di salvare Sacco e Vanzetti. Fu una vera "femme-plume", innamorata del mestiere di scrivere, una giornalista libera e impegnata in tutte le cause sociali.
L’antiparlamentarismo, il coraggio con cui difese molti anarchici dell’epoca, l’avversione alla pena di morte, e la posizione inderogabilmente «dalla parte dei poveri, sempre, malgrado i loro errori, malgrado le loro colpe… malgrado i loro crimini», le attirarono aspre polemiche, ma la fecero emergere, per usare le parole di Apollinaire, come un «angelo di grazia e di pietà, di eloquenza e di coraggio», nonché come una «maestra della scrittura». Nei suoi testi si leggono anche acute anticipazioni dei mali che sconvolgeranno il XX secolo; nel 1925, su La Volonté, attaccò il fascismo, definendolo «la lega degli interessi minacciati, delle paure, dei privilegi, dei rancori, dei pregiudizi, il nemico delle nostre libertà… la guerra». Certamente, ça va sans dire, fu anche una femminista "visionaria", che tuttavia, per rimanere indipendente, non aderì al movimento femminista che stava nascendo: «amo l’indipendenza degli avversari, così come la mia», aveva dichiarato. La sua professione e il suo prestigio le permisero di difendere pubblicamente la causa del l’emancipazione femminile, dell’uguaglianza dei sessi, di reclamare il diritto di voto per le donne, nonché di prendere la parola su questioni come l’aborto, al quale si dichiarò favorevole («è una disgrazia, una fatalità, non un crimine», scrisse), e su un tema, ancora dolorosamente attuale, come quello dei «delitti passionali» o della violenza fra i coniugi: pudica espressione, ipocrisia, che secondo lei tenta di giustificare un’atrocità con sentimenti come la passione e la gelosia, ma che nasconde una «violenza bella e buona», causata dal fatto che la donna era ancora considerata «proprietà dello sposo».
In pagine di rara sensibilità esortò anche le donne a salvaguardare sempre la dignità della bellezza, e a non abbattersi di fronte all’età che avanza, alla giovinezza che sfiorisce, perché bisogna restare fiere di ciò che si è, sempre. Quando seppe che qualcuno la definiva «la Regina della stampa», o «la principessa delle lettere», replicò: «No! principessa delle energie, forse. Non ho cesellato, ma sono entrata, come un boscaiolo, a grandi colpi d’ascia nella foresta nera della menzogna e dell’errore». Come epitaffio volle solo queste parole: «sono Séverine, nient’altro che Séverine, una donna indipendente». Quando si celebra la festa delle donne, così come quando si parla di grandi donne del passato, sarebbe giusto e doveroso parlare anche di lei… Line, Séverine.