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 2014  marzo 02 Domenica calendario

COME USARE BENE LA GRAMMATICA


Per parlare di italiano a scuola, si potrebbe cominciare citando Renzi. Non Matteo, però, ma il filologo Lorenzo Renzi, che nel 1974 sottopose agli studenti di alcune scuole medie e superiori di Padova e dintorni (licei compresi) un questionario basato sulla lettura dei giornali. Ne venne fuori che parole come esigenza, tutela, ipotizzare avevano per i ragazzi un significato tutt’altro che chiaro; autoritario veniva scambiato per autorevole e si confondeva reazionario con rivoluzionario. Un po’ come succede oggi nelle scuole (in cui a biasimare – ad esempio – vengono attribuiti i significati più disparati: «Dai, Marco, senza biasimare, prova a camminare sulle tue gambe!», «Ti conosco da un anno, perciò non biasimo della tua serietà»), ma anche nelle prove scritte di alcuni studenti universitari: «Il 1848 in Europa fu un periodo molto "caldo"… infatti in molti paesi come ad esempio in Francia l’obbiettivo dei reazionari era la costituzione».
Non è solo una questione di nozioni. È evidente che chi non possiede strumenti linguistici adeguati rimane un individuo a cittadinanza limitata. Non a caso, nei documenti programmatici del progetto Ocse sulla cosiddetta literacy, la competenza di lettura è definita come la capacità di interagire con l’informazione scritta per poter sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e svolgere nella società un ruolo attivo. Ma conosciamo bene i recenti dati Ocse sulle competenze di lettura degli italiani. Circa un quarto dei nostri quindicenni si colloca al livello più basso delle capacità di comprensione di un testo; quasi un altro quinto sta messo ancora peggio: manca, cioè, delle competenze minime per fare della lettura un’attività funzionale.
Di fronte a questi risultati, mettersi a lodare il tempo che fu è un atteggiamento non solo inutile, ma sbagliato. Già nel 1871, il filologo Francesco D’Ovidio criticava l’insegnamento astratto della grammatica: «Il risultato di questo così opportuno uso del tempo consacrato alla scuola è quello che tutti sanno. Salvo i giovanetti di mente sveglia, gli altri, sebbene non stupidi addirittura, arrivano al Ginnasio, passano al Liceo, entrano nell’Università, e finalmente anche nelle professioni, nei pubblici uffici, nel Parlamento, che non sanno cansare gli errori più ovvi d’ortografia».
Non serve, quindi, rimpiangere il passato: anche perché non va dimenticato che nel 1871 gli analfabeti (parliamo di analfabetismo totale, non – come oggi – funzionale, o di ritorno) rappresentavano circa il 73% della popolazione e ancora nel 1971 un terzo degli italiani non possedeva la licenza elementare. Bisogna, piuttosto, sfruttare le occasioni che il presente ci offre. Ad esempio il fatto che la scrittura è ormai onnipresente – grazie a e-mail, sms e chat – nella vita quotidiana di tutti noi (tanto più in quella dei giovani) o che Internet ci consente di attingere in maniera immediata a uno sterminato archivio delle più svariate forme di testualità (non solo scritta).
Questi e altri aspetti del mondo in cui viviamo non andrebbero demonizzati, ma utilizzati per rinnovare l’insegnamento della grammatica partendo da alcuni valori condivisi: realismo (materiali linguistici presi dalla realtà e non frasette o discorsetti inventati); pragmatismo (parlare e scrivere bene significa esprimersi in maniera adeguata ed efficace rispetto a un destinatario, a un argomento, a un obiettivo); pluralismo (giusto e sbagliato dipendono spesso dalla situazione in cui ci si trova a comunicare); dinamismo (una lingua viva è in continua evoluzione). Non la grammatica un tanto al grammo, insomma, ma un insegnamento olistico che – senza trascurare nessuna delle parti – parta sempre dall’insieme: da quell’intero che in una lingua è rappresentato innanzi tutto dai testi. Dalla concretezza dei vari usi, dunque: quello letterario, quello giornalistico, quello politico, quello scientifico, quello professionale, quello televisivo, quello telematico; addestrando i ragazzi e le ragazze a passare da una tipologia all’altra, da un registro all’altro. Perché, in fondo, la grammatica è l’arte di dire le cose nel modo giusto al momento giusto. Le regole sono importanti, ma il piatto del giorno non può essere sempre linguine alla norma.