Donald Sassoon, Il Sole 24 Ore 2/3/2014, 2 marzo 2014
L’ARCHITRAVE DI FAMIGLIA
«È sorprendente – scrive Paul Ginsborg – come nella maggioranza degli studi sul XX secolo le famiglie restino perennemente dietro le quinte». Questo è vero se pensiamo a grandi indagini storiche come Il secolo breve di Hobsbawm o Le ombre d’Europa. Democrazia e totalitarismo nel XX secolo di Mark Mazower, dove la famiglia è quasi assente. Per rimediare a questa carenza servirebbero studi di analoga portata che mostrino in che modo il corso degli eventi politici ed economici abbia influenzato o sia stato influenzato dalle famiglie. Sarebbe un’impresa non da poco, perché servirebbe qualcuno in grado di stabilire se i cambiamenti nella struttura delle famiglie siano stati dovuti a cause "interne" (abbastanza improbabile) o a eventi esterni, come per esempio cambiamenti delle leggi, emigrazioni, guerre o sviluppo economico. Bisognerebbe delineare la configurazione della vita familiare all’inizio del periodo preso in esame e poi tracciare un quadro dei cambiamenti e delle cause di tali cambiamenti. Inoltre, questo lavoro andrebbe realizzato in forma comparativa, in modo da poter valutare se una cosa come il calo della fecondità sia dovuta a fattori che trascendono le differenze religiose o politiche.
Famiglia Novecento non fa niente di tutto questo. È un libro abbastanza strano, in realtà. Da un certo punto di vista, è difficile non apprezzarlo per quello che è: un’antologia di eventi e fatti disparati, raggruppati sotto l’intestazione generica di "famiglie". È una lettura molto piacevole, dove si trova un gran numero di eventi che avevamo dimenticato, o che non avevamo mai saputo. Ginsborg propone una serie di esempi presi da cinque Paesi nella prima metà del XX secolo: Russia/Unione Sovietica, Italia, Spagna, Impero Ottomano/Turchia e Germania. Perché proprio questi Paesi? Perché hanno subito, più di altri in Europa, cambiamenti di grande rilevanza: la transizione rivoluzionaria dal regime zarista all’era sovietica, inclusi gli anni terribili della guerra civile e poi della collettivizzazione, la transizione dall’era liberale al fascismo per quanto riguarda l’Italia, la guerra civile in Spagna, Weimar e il nazismo in Germania, e in Turchia, per concludere, la fine dell’Impero Ottomano e la rivoluzione guidata da Kemal Atatürk. Al confronto quello che è successo in Francia o in Gran Bretagna può apparire di minore importanza. Ma è proprio così? Le due maggiori democrazie europee non hanno subito cambiamenti di regime e il loro sistema politico è rimasto sostanzialmente immutato nei primi cinquant’anni del XX secolo, ma sono passate per due grandi guerre, con un bilancio di vittime smisurato; sono state devastate dalla spaventosa epidemia di spagnola del 1918, che uccise 250mila persone nel Regno Unito e 400mila in Francia; durante la Seconda guerra mondiale, la Francia fu occupata e la Gran Bretagna bombardata. Andare a guardare l’evoluzione della famiglia in questi due Paesi poteva fornire un interessante elemento di comparazione. Le famiglie inglesi e francesi sono rimaste più stabili di quelle dei Paesi interessati da grandi conflitti politici e militari? I cambiamenti nella struttura della famiglia e nelle relazioni di genere sono influenzati da evoluzioni economiche di lungo termine, molto più che da eventi catastrofici di breve durata come guerre e dittature. Per esempio, negli Stati Uniti l’età media del matrimonio registrò un brusco calo dopo il 1945, quando il Paese fu coinvolto in numerose guerre, ma tutte di importanza relativamente minore rispetto alla Guerra di Secessione e alle due guerre mondiali. Oggi la maggioranza dei primi figli negli Stati Uniti (e in alcuni Paesi europei) nasce prima del matrimonio: un chiaro segnale, con disappunto dei tradizionalisti, che l’era del matrimonio come base per la procreazione forse sta per giungere a termine. Queste recenti evoluzioni sono state causate da fattori economici e culturali, non da guerre e rivoluzioni.
In ogni sezione Ginsborg ci presenta un affascinante schizzo della vita familiare di alcuni personaggi famosi, quindi fornisce una descrizione dei cambiamenti, in alcuni casi realmente rivoluzionari, intervenuti nel diritto di famiglia (divorzio, aborto, legislazione sul matrimonio, uguaglianza: è la parte più interessante); poi accenna alle proposte di riforma dell’istituto familiare, di solito semiutopistiche, e infine propone delle descrizioni (un po’ superficiali) di famiglie "vere". Quest’ultima è la parte meno convincente del libro. Non è particolarmente illuminante, per esempio, leggere che nella Russia zarista «nelle campagne le donne venivano "trattate con grande brutalità" da mariti spesso ubriachi», perché ovviamente una cosa del genere non era limitata ai mariti russi. Erano più brutali e ubriaconi dei mariti di Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna? Probabilmente sì, ma quali dati ci sono a supporto? Tra l’altro, nella stessa parte Ginsborg descrive le condizioni di vita terrificanti nelle fabbriche della Russia zarista, dove gli operai, appena emigrati dalle campagne, riuscivano comunque a spedire a casa a moglie e figli una parte dei loro miseri salari: non tutti erano degli alcolizzati insensibili, quindi. E definire come patriarcale la vita familiare in Russia o in Turchia non è certo una rivelazione, considerando che la famiglia patriarcale era un tratto quasi universale e non certo limitato al periodo preso in esame, nei cinque Paesi sconvolti da turbolenze.
L’autore dedica molto più tempo a parlarci delle famiglie "speciali", le famiglie dei personaggi famosi: Lenin, la femminista bolscevica Inessa Armand (l’amante di Lenin), Aleksandra Kollontaj, l’unica donna commissario nel primo Governo rivoluzionario russo, Marinetti e Mussolini, Goebbels e Francisco Franco (un marito migliore di Mussolini, a quanto pare: non che questo ci dica qualcosa di utile sulle differenze tra il suo regime e il fascismo, o sulla "famiglia"), Kemal Atatürk e la famosa nazionalista femminista turca Halide Edib (descrivendo il suo matrimonio infelice e le sue battaglie in favore dell’uguaglianza delle donne), e tanti altri. Ma non ci dà nessuna spiegazione per queste scelte. Perché Marinetti e non D’Annunzio? Perché non c’è nulla sulla contessa Daisy di Robilant, una fascista-femminista fuori dagli schemi, che si batté con un’energia non comune in favore delle donne non sposate. È perché Halide Ebid ci ha lasciato due volumi di memorie piuttosto egocentrici, mentre Daisy no?
La parte sui cambiamenti del diritto di famiglia è prevalentemente descrittiva, con in aggiunta un commento, che va da una misurata approvazione (come per le riforme realizzate in Unione Sovietica e in Turchia) a una condanna esplicita (Italia e Germania). Ma il compito dello storico è spiegare, non dire «questo è buono, questo no». È chiaro che nella nostra ottica contemporanea le riforme "migliori" sono quelle che facilitano il progresso verso una maggiore uguaglianza tra uomini e donne, una maggiore facilità di divorzio e un approccio laico al matrimonio: la conseguenza è che le riforme realizzate in Unione Sovietica e nella Turchia di Atatürk sono più "moderne" di quelle realizzate in Italia o in Spagna, dove, con il Concordato nel primo caso e la vittoria di Franco nel secondo, la Chiesa incrementò il suo potere.
(Traduzione di Fabio Galimberti)