Alessandro Carlini, Libero 2/3/2014, 2 marzo 2014
UNA STERLINA E APRI UN’ATTIVITÀ: 44MILA ITALIANI FUGGONO A LONDRA
Ci sono i voli Ryanair stracolmi al posto dei bastimenti che il secolo scorso trasportavano immigranti italiani in America per cercare fortuna. La destinazione dove trovare un’opportunità è oggi molto più facile da raggiungere: è Londra. Con un investimento di qualche centinaia di euro sempre più connazionali, giovani e non solo, cercano di rifarsi una vita lontano dalla crisi economica e dalla disoccupazione a due cifre. Chi «scappa» sceglie una sorta di America a portata di mano, che dista solo 1-2 ore di volo dalle principali città italiane.
A Londra è possibile anche avviare una impresa «Ltd», la nostra Srl, con una sola sterlina: è questo il capitale minimo richiesto, a differenza di quello che accade in Italia, dove servono migliaia di euro. E soprattutto i tempi sono molto ridotti: può bastare una sola giornata per sbrigare la pratica burocratica. E la tassazione? La Corporation Tax per le piccole imprese è fissata al 20% (con un reddito non superiore alle 300.000 sterline l’anno). Non ci sono quindi paragoni rispetto all’Italia. Per i cittadini, invece, la «income tax» è del 20% per i redditi fino a 32.010 sterline.
I numeri del fenomeno sono da record, moltiplicati col passarola sui social network. C’è chi parte per un mese e resta per anni. Un dato su tutti: sono oltre 44mila gli italiani cui lo scorso anno è stato attribuito nel Regno Unito il «national insurance number » (equivalente al codice fiscale), il 66% in più rispetto al 2012 e l’aumento maggiore registrato tra i Paesi di provenienza Ue. Non finisce qui. Si stima che solo a Londra votino oltre 60 mila italiani, in pratica gli abitanti di città come Carrara o Pavia. Ma sono molti di più quelli che arrivano e non prendono la residenza, anche per periodi lunghi, e quindi non risultano nelle statistiche ufficiali.
La comunità italiana è una di quelle più importanti e anche nei quartieri meno centrali della capitale si sentono gli accenti della penisola. E che ne dica il neo premier Matteo Renzi sarà difficile far tornare a casa i «cervelli» in fuga che studiano alla London School of Economics, a Oxford o Cambridge, ma anche le «braccia» in fuga, di chi viene e trova un posto da cameriere in una pizzeria dell’East London. Perfino sul Financial Times è finito il fenomeno degli italiani a Londra. In un suo blog è stata raccolta la testimonianza di Elena, 26enne toscana con una laurea in psicologia infantile che da quasi un anno lavora nella capitale come maestra d’asilo. Elena vorrebbe tornare in Italia ma non senza un lavoro, in tal caso, ha detto, «resto a Londra».
Negli ultimi anni, mentre gli aerei di Ryanair e Easyjet volavano pieni dall’Italia all’Inghilterra, sono spuntati come funghi libri, guide, siti internet, in cui si consiglia come rifarsi una vita all’ombra del Big Ben. Qual è il segreto del successo britannico? Alcune sicurezze in Italia impensabili. Il mercato del lavoro è flessibile e aperto, la disoccupazione è in calo e il Pil, dopo l’uscita dalla recessione, promette molto bene per gli anni a venire. C’è il senso dell’opportunità e allo stesso tempo di trovarsi, per così dire, un po’ a casa.
Londra negli ultimi anni è stata per molti versi «colonizzata» dagli italiani. I segnali sono tanti e si può dire che la «conquista» del Regno Unito sia avvenuta a tavola. I pub smettono di fare hamburger e offrono ai clienti risotti. Lo chef inglese Jamie Oliver ha rinunciato al rilancio della cucina british e puntato sul suo «impero» di ristoranti italiani. E i nostri connazionali si sono integrati benissimo nella metropoli cosmopolita. Lavorano come manager nelle grandi banche della City, come architetti negli studi più importanti, nelle università, come chef e camerieri, gestiscono grandi e piccole imprese. Certo gli manca l’Italia, ma basta prendere un aereo e in due ore ci sono. Per poi tornare indietro perché oggi il posto in cui stare sembra proprio Londra.