Gianluca Bertinetto, L’Unità 4/3/2014, 4 marzo 2014
GLI APPETITI EUROASIATICI DELL’ORSO RIUSSO
L’ORSO, SORNIONE E MELLIFLUO, HA DATO UNA ZAMPATA. E TUTTI SI DOMANDANO SE SI CONTENTERÀ DI UN PO’ DI MIELE O SE SI PREPARA A MORDERE DAVVERO. Ma certo male hanno fatto quelli che lo hanno provocato... I media russi, in gran parte controllati dal Cremlino, svolgono una propaganda sottile e pervasiva, coadiuvata anche da fonti occidentali filorusse, più o meno consapevoli. Un velo di dubbio viene gettato anche su fatti macroscopici, finché non diventano fatti compiuti, accettati come sviluppi inevitabili. I fatti sono questi: dal 1° marzo, forze annate russe hanno preso il controllo della Crimea; la reazione militare russa al totale, imprevisto successo della rivolta filoeuropea di Euromaidan, pagato con oltre 100 morti e 500 feriti, era in preparazione da almeno una decina di giorni.
Il Cremlino ha seguito un tattica sottile, sfruttando anche le debolezze e le divisioni degli ucraini, l’inesperienza e gli errori del governo provvisorio nato il 26 febbraio. Forze filorusse hanno preso il potere in Crimea fin dal 27 febbraio, ed hanno subito invocato aiuto contro pericolosi nemici (di cui peraltro non si vedevano tracce in Crimea), dichiarando al contempo di avere il pieno controllo delle forze militari e di polizia della regione. Pur mostrandosi sensibile all’appello, Putin ha atteso alcuni giorni prima di chiedere al Parlamento russo l’autorizzazione ad usare la forza militare «in Ucraina» (non specificamente in Crimea). Poi è passato subito ai fatti, facendo occupare la Crimea. Il suo ministro degli Esteri Lavrov si è affrettato oggi a dichiarare che la Russia non è motivata da interessi geopolitici, ma solo dalla protezione della popolazione. Sfondava una porta aperta: in Occidente d sono tanti «realisti» pronti a giustificare il fatto compiuto in Crimea con i legami storia e gli interessi strategia della Russia.
Ma sarebbe bene fare chiarezza sulle asserite minacce «fasciste» degli «estremisti» di Kiev. Nell’uso corrente della lingua russa il termine «fascista» è riservato senza distinzioni a tutte le forze che si sono opposte all’Unione Sovietica, dalla II guerra mondiale in poi. Durante la Guerra fredda, la propaganda sovietica ha rincarato la dose per decenni contro i sostenitori dell’indipendenza ucraina, equiparandoli tutti a fascisti antisemiti; ed è riuscita a far dimenticare la dura repressione sovietica, durata oltre dieci anni dopo la sconfitta tedesca. Per estensione l’accusa di fascismo è stata adesso rivolta a tutti i manifestanti contro il regime di Yanukovich. Di conseguenza la maggioranza dei russi (ed anche alcuni in Occidente) sono oggi convinti che la protesta filoeuropea dei mesi scorsi era istigata e finanziata da agenti occidentali; addirittura vi sono state grottesche manifestazioni in Crimea al grido di «Liberate l’Ucraina dall’occupazione americana! Yankee go home!». Per l’onore della Russia, vi sono state manifestazioni anche a Mosca, sia pur modeste, per la pace e contro l’uso, della forza armata in Ucraina. In sostanza quale è l’obbiettivo che il Cremlino sta perseguendo con questa tattica così elaborata? La Russia è impegnata nello sforzo di recuperare il suo status di grande potenza. Ottenere successi in questo campo importante per Putin anche per assicurare il suo potere interno, di fronte a crescenti difficoltà economiche ed ai problemi interni della Federazione, in cui i cittadini di etnia russa sono solo circa la metà. Occupare la Crimea, contrariamente a quello che si può pensare, forse non è il suo fondamentale obbiettivo strategico: la Russia dispone già della base di Sebastopoli per la sua flotta, e dal punto di vista economico il valore della Crimea è quasi solo quello turistico. Il vero interesse di Putin potrebbe essere di carattere interno: la Crimea è carica di valori simbolici per il nazionalismo russo. Ma fa da contrappeso il costo politico che può avere una aggressione militare, di fronte all’opinione internazionale. Un incentivo addizionale per il Cremlino potrebbe essere l’occupazione di alcune provincie sud orientali dell’Ucraina, con una consistente popolazione di etnia o di lingua russa e con notevoli infrastrutture industriali. Ma valgono, a fortiori, le stesse controindicazioni.
La tattica scaltra e prudente fin qui seguita, suggerisce anche un’altra ipotesi. Il vero obbiettivo strategico di Putin è portare l’Ucraina nell’Unione Euroasiatica, insieme alla Bielorussia ed al Kazakistan. Per questo è rimasto sordo alle invocazioni di Yanukovich, ormai totalmente screditato, e lo ha relegato in un lontano posto di confine. Per questo in febbraio ha discretamente stimolato le proposte, avanzate da suoi fedeli seguaci ucraini, di una riforma federale dell’Ucraina: apparentemente allo scopo di evitare i pericoli di divisione del Paese (per altro fomentati da quegli stessi suoi seguaci), ma anche con la conseguenza di ridurre il potere del governo di Kiev. Magari a futuro vantaggio dell’Unione Euroasiatica, cioè di Mosca. Per riuscire, Putin dovrebbe scoraggiare con pesanti pressioni l’Ucraina dal ritorno al negoziato con l’Unione Europea, ed indurre i membri della Ue più titubanti a prendere tempo, e possibilmente a cercare di allontanare il costoso calice ucraino. Sembrano allontanate, per ora, le minacce di repressione totale che sono state a lungo lasciate planare dal regime Yanukovich; più produttivo potrebbe essere un possibile negoziato, in cui il pegno della Crimea potrebbe essere scambiato con il ritorno dell’intera Ucraina all’ovile euroasiatico.
Sono solo ipotesi, e la sequenza degli avvenimenti in corso è molto rapida. Ma è su queste basi che l’Europa e gli Stati Uniti devono decidere come reagire. Abbiamo alcuni principi da difendere, insieme a tutti i paesi «amanti della pace»: il non uso della forza, il rispetto dei Trattati, la salvaguardia dell’indipendenza ed i diritto del paese a scegliere liberamente la propria strada. Come Unione europea, dovremmo ricordarci anche che abbiamo solennemente riconosciuto ai Paesi europei e democratici, e capaci di adempiere alle condizioni economiche e giuridiche da tempo chiaramente fissate, il diritto di entrare a far parte dell’Unione. Anche se il percorso potrà essere lento e difficile. Per l’Ucraina sarebbero indispensabili profonde riforme nel sistema giudiziario (di segno opposto a quello che chiedono certe forze politiche nostrane...), una rimessa in ordine del sistema economico, ed un pacchetto di leggi per la protezione degli investimenti esteri. Forse siamo sgomenti di fronte al possibile costo dell’operazione per noi, ma dovremmo tenere presente che il costo sarebbe molto alto anche per gli ucraini. E che, a suo tempo, i vantaggi per noi, per loro e per l’Europa, sarebbero molto più grandi.