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 2014  marzo 04 Martedì calendario

«LA METROPOLI IN DECLINO È UNA METAFORA UNIVERSALE»


LOS ANGELES Toni Servillo, che in questo periodo è impegnato in teatro con Le voci di dentro, l’altro giorno è saltato su un aereo con la moglie e i due figli per venire a Los Angeles e partecipare con Sorrentino alla cerimonia nel Dolby Theatre. «Sia pure per soli tre giorni, non potevo assolutamente mancare», racconta nella notte magica in cui l’Oscar ha premiato non solo la Grande bellezza ma il suo sodalizio con il regista, sfociato in ben quattro film.
L’attore ha recuperato la voce che alla vigilia, per l’ansia, si era un po’ abbassata. Dopo la vittoria, il cravattino dello smoking allentato, un sorriso grande così, Toni posa con Paolo davanti a una folla di fotografi e brinda a champagne. Prima dell’Oscar non aveva voluto parlare per scaramanzia, ora esprime tutta la sua gioia.
Quando ha cominciato a credere nell’Oscar?
«A dire la verità ci avevo sempre sperato perché il film continuava a ricevere premi e consensi in tutto il mondo, dal Golden Globe agli Efa e al Bafta. Ma l’altra sera, una volta entrato nel teatro in mezzo alle superstar, qualche dubbio ci è venuto».
Chi le ha fatto i complimenti?
«Un po’ tutti, da Spike Lee a Cate Blanchett, mentre Di Caprio continuava a ripetere ”italian movie” con un grande sorriso».
Perché secondo lei il film è piaciuto tanto?
«Dopo Cannes, è stato riconosciuto ovunque il talento di Sorrentino e la sua capacità di andare oltre le tematiche strettamente italiane. La grande bellezza racconta la società pericolosamente in declino di una metropoli occidentale, ma è una metafora comprensibile in qualunque parte del mondo. Inoltre, la forza dei film del regista sta nei grandi personaggi: io ne ho avuti in regalo quattro, dal Divo a Jep Gambardella».
E qual è il segreto dell’intellettuale dandy protagonista della Grande bellezza?
«Jep ispira la simpatia umana tipica dei personaggi cinici, malinconici e delusi. È consapevole del vuoto che lo circonda, se ne fa interprete».
Il vostro trionfo si riverberà sul cinema italiano?
«Penso proprio di sì, perché ha vinto un film totalmente italiano. L’Oscar è la dimostrazione che il nostro Paese è ancora competitivo e dà una sana spinta ad avere coraggio. Sarà un’iniezione di fiducia per tutti».
Lei, così schivo e antimondano, come si è trovato al centro del glamour?
«Ho vissuto l’esperienza hollywoodiana con semplicità e divertimento. Paolo e io eravamo accompagnati dalle nostre mogli e continuavamo a sorprenderci di quanto gli americani siano bravi a valorizzare e rispettare la loro cultura nazionale».
Cos’è, qui in America, il cinema?
«Una delle espressioni più belle della cultura nazionale. Ad impressionarmi a Hollywood non è stato il glamour, quanto piuttosto la capacità degli americani di comunicare la loro arte».
C’è un momento dello show che l’ha colpita?
«Mi ha molto commosso l’apparizione del vecchio Sidney Poitier».
Dopo l’assegnazione dell’Oscar, cosa vi siete detti con Sorrentino?
«Ma chi l’avrebbe immaginato che saremmo arrivati fino a qui, quando abbiamo cominciato? Io devo a Paolo la mia carriera cinematografica da protagonista. E ora siamo due amici veri anche al di fuori del set. Per sfondare ci vuole il talento, certo, ma serve anche l’amicizia. Siamo stati bravi e fortunati e ci siamo voluti molto bene in tutti questi anni».
Farete altri film insieme?
«Senza dubbio. Ma fino a giugno sono impegnato in teatro».
Già stasera Servillo tornerà in scena a Padova. E la gioia per l’Oscar aggingerà nuove emozioni al suo talento.