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 2014  marzo 04 Martedì calendario

PERCHÉ L’ITALIA DÀ SEMPRE L’OSCAR A DE BENEDETTI?


Vorrei porre al mio ex direttore Ezio Mauro che è al timone della corazzata sinistra la Repubblica questa banalissima domanda: che differenza c’è, come imprenditori, tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti? Sono certo che non mi risponderà. Pongo questa domanda addì 3 marzo 2014 perché oggi (ieri per chi legge) si determinano due fatti che su Repubblica, conosco bene i miei polli, saranno l’uno commentato con grande enfasi nascondendo che c’è di mezzo Silvio Berlusconi, mentre l’altro sarà relegato in qualche anfratto di cronaca finanziaria omettendo che ci sarà un gran lavorio politico per salvare la faccia e il portafogli dell’Ingegnere.
Il primo è la vittoria dell’Oscar de La Grande Bellezza, film che senza i quattrini e la distribuzione di Medusa guidata da Carlo Rossella e pagata dal Cavaliere non si sarebbe fatto. Si scriverà del genio di Paolo Sorrentino, della creatività italiana (voglio vedere come se la cavano quelli de il Fatto che avevano stroncato il film in quanto berlusconiano), della magistrale interpretazione di Tony Servillo e via retoricando. Ma sarà omesso che il film è prodotto da Berlusconi. Nonostante questo però è certo che il Cavaliere rappresenta l’imprenditore medio italiano, quello che sfrutta il brain italico e si dà da fare per produrre danè. Oddio poi magari ti condannano per una frode fiscale dai contenuti oscuri se cresci troppo, ma l’Italia delle imprese in larghissima misura è andata avanti così: cervello, massima flessibilità, capacità di dribbling nella giungla di regole e spiccata propensione a vendere all’estero. Per questo capita che quel tipo d’impresa – soprattutto quella culturale – vinca l’Oscar. Oppure capita che il prototipo di quell’imprenditoria – Silvio Berlusconi – sia talmente in sintonia con il cosiddetto Paese reale da conquistare l’Oscar elettorale nell’incredulità della sinistra ed in particolare della gauche caviar. Di cui massimo rappresentate è proprio Carlo De Benedetti che pretenderà oggi dalla banche che per l’ennesima volta salvino una sua azienda.
Si tratta di Sorgenia, che ormai ha soldi in tasca per un paio di settimane e va incontro al disastro. Ma il default non ci sarà perché l’editore di Repubblica, l’house organ dell’Italia con cuore a sinistra e portafoglio a destra, troverà modo per far pagare il conto agli italiani. Le banche che sono esposte con Sorgenia per quasi 2 miliardi saranno chiamate a consolidare. Tra queste la più esposta è Monte dei Paschi di Siena che vanta crediti con Sorgenia per 600 milioni e che a sua volta è stata salvata con i soldi degli italiani (i 4 miliardi di Monti bond). Carlo De Benedetti nella sua disastrata società non vuole mettere più di 100 milioni: una miseria. Anche perché spera che il governo – giova ricordare che l’Ingegnere ha la tessera numero uno del Pd ed è con Repubblica il principale sponsor di Matteo Renzi – faccia scattare un congruo aumento di un complesso meccanismo che si chiama capacity payement. Tradotto significa che chi produce energia con il gas, se tiene le turbine ferme viene comunque pagato per il solo fatto che esiste.
Dietro questo meccanismo c’è un complesso intreccio di poteri forti che è lungo spiegare, ma dice una cosa esplicita: in Italia non tutti i debiti e non tutti i debitori sonouguali. Nel casodi Sorgenia c’è qualcosa di più: non solo quella società è un disastro, ma non produce energia solo col gas, lo fa anche con il carbone ed in particolare alla Tirreno Power di Vado Ligure, centrale che la magistratura sospetta abbia provocato un disastro ambientale enorme oltre a qualche centinaio di morti. A dirlo è quella magistratura che ha assegnato a Carlo De Benedetti per il famoso Lodo Mondadori (industria culturale dunque) un risarcimentodi quasi 500 milioni che sono stati versati da Silvio Berlusconi nelle casse dell’Ingegnere. Ma De Benedetti quei quattrini li tiene per sé: non li scuce né per salvare Sorgenia, né per raddrizzare i conti del suo gruppo editoriale (Espresso-Repubblica) per il quale si sta pensando anche ad una massiccia dose di prepensionamenti (ad esempio nella concessionaria di pubblicità Manzoni & C.) scaricando sullo Stato ulteriori oneri.
Ora rifacciamo come fosse una partita doppia le somme. Da una parte sta Silvio Berlusconi che non ha mai scaricato sullo Stato nessun onere derivante dalla sua attività d’imprenditore, che semmai ha pagato montagne di tasse salvo poi venir condannato per frode fiscale, che vince con Medusa Film l’Oscar, che produce profitti con l’industria culturale e poi deve girarli a quello che sta dall’altra parte. Costui è Carlo De Benedetti, che ha una lunga storia di avventure industriali scaricate sullo Stato (una per tutte l’Olivetti, e ci sarebbe anche una faccendina di stampanti tarocche rifilate alla Repubblica Italiana dietro tangenti) e che proprio in concomitanza con l’Oscar berlusconiano cerca di addossare i suoi guai per interposto Matteo Renzi al contribuente italiano.
Questa è la domanda che vorrei porre ad Ezio Mauro: qual è la differenza come imprenditori tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti? Una risposta c’è: da sempre in Italia chi fatica e produce deve mantenere chi fa finta di fare economia e per nascondere i propri interessi la butta in politica. Come dire che La Grande Bellezza la produce Berlusconi, ma a godersela è De Benedetti.