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 2014  marzo 04 Martedì calendario

HO SPACCATO I DENTI A LUCA L’EVANGELISTA


Padova è la «città del Santo». Il nome non serve, tutti sanno che è sant’Antonio. Ma Padova dovrebbe essere ancora più famosa per le reliquie di Luca, uno dei quattro evangelisti, conservate nella basilica di Santa Giustina, la nona del mondo per dimensioni secondo le guide turistiche.

Il mondo pullula di false reliquie. Nel Medioevo la loro produzione era industriale e il commercio fiorente. Boccaccio ne trasse l’ultima novella della sesta giornata del Decamerone: frate Cipolla riscuote le elemosine dei fedeli promettendo di mostrare loro una piuma dell’arcangelo Gabriele, di nascosto un buontempone la sostituisce nella teca con dei carboni e il frate se la cava dicendo che sono quelli su cui fu bruciato san Lorenzo; poco male, tanto la piuma era di pappagallo. Qualcuno disse che con i (presunti) resti della croce di Gesù si potrebbe costruire un vascello. Ovvio che le reliquie degli evangelisti siano contesissime e, proporzionalmente, numerose. Venezia vanta i resti di san Marco. Nel 1998 il vescovo di Padova, Francesco Mattiazzo, affida a un gruppo di scienziati il compito di accertare l’autenticità dei resti di Luca: uno scheletro senza testa custodito in un sarcofago di piombo. È l’inizio di un’avventura che uno dei protagonisti, il genetista Guido Barbujani, ci racconta in un libro - Lascia stare i santi, in uscita da Einaudi, pp. 175, € 16,50 - difficilmente classificabile: saggio scientifico, riflessione epistemologica, romanzo, autobiografia, diario di viaggio, sociologia della ricerca?
C’è tutto questo nel libro di Barbujani, illuminato da ironia e sottile tecnica narrativa, cosa che non stupisce perché il nostro genetista, che ha lavorato alla State of New York University e dal 1996 ha cattedra all’Università di Ferrara, è noto anche come autore di romanzi. Ma qui ci limiteremo all’avventura scientifica.
Dunque Guido Barbujani, classe 1955, sedici anni fa si trova coinvolto nell’analisi delle reliquie dell’evangelista. Il team è multidisciplinare. Lo guida l’anatomopatologo dell’Università di Padova Vito Terribile Wiel Marin, ci sono specialisti in datazione con il metodo del radiocarbonio (Università di Tucson, Usa, e Laboratorio di archeologia, Oxford), esperti di pollini, di monete antiche e di rettili, perché nel sarcofago vengono ritrovate anche le ossa di 30 serpenti - un serpente nostrano, spiegherà l’erpetologo, il biacco.

Stipulato il contratto con la diocesi di Padova, incomincia il lavoro. Il genetista incontra il vescovo e gli comunica che per analizzare il Dna bisogna distruggere alcuni grammi della reliquia. Gli vengono concessi due denti, anzi, uno e mezzo, perché del secondo c’era solo la radice. Allo scheletro di Padova manca la testa, ma qualche dente si è staccato ed è rimasto nel sarcofago. È quanto basta per fare di Barbujani l’uomo che ruppe due denti a un autore del Vangelo. Il Dna dei denti deve essere confrontato con quello della popolazione alla quale Luca apparteneva. Qui è nebbia: le notizie su Luca sono vaghe e controverse. I più ritengono che appartenne alla terza generazione dopo quella di Gesù. Sarebbe nato ad Antiochia o Aleppo in Siria e morto in età avanzata (tra 74 e 84 anni) verso il 130 d.C. in Bitinia (la regione a Sud del Mar Nero e del Mar di Marmara).
Barbujani parte per la Siria al fine di procurarsi campioni di sangue dei probabili discendenti del popolo che fu di Luca. Faccenda complicata. I reperti biologici sono difficilmente esportabili, e nel mondo arabo si aggiungono tabù religiosi e diffidenza verso chi arriva dall’Occidente cristiano. Una tangente di 300 dollari spiana la strada all’intraprendente ricercatore, ma paurosa è l’operazione per venire in possesso delle provette e per trasferire il sangue su carta assorbente onde poterlo conservare e farlo passare ai controlli di frontiera. Più che la polizia si rivelerà pericoloso e quasi mortale un attacco di dissenteria, alla fine però il genetista, aiutato da consulenti del Gotha della ricerca americana, può mettersi al lavoro sul Dna.
Mentre l’identificazione della provenienza del piombo del sarcofago (pesante 300 kg) non dà esito utile, l’analisi anatomica dice che si tratta dei resti di un uomo anziano. Le datazioni al radiocarbonio sono un po’ discordanti ma, prendendo per buoni i dati più favorevoli, risultano compatibili con un’epoca non troppo successiva alla presunta data di morte di Luca. I serpenti sono padovani e più recenti: 400-450 d.C. Alcune monete si accordano con l’epoca della sepoltura, e così pure la datazione dei pollini trovati nel sarcofago. Secondo la tradizione, Luca nel sonno digrignava i denti, e i reperti lo confermano. Infine, il corpo acefalo di Padova con la sua prima vertebra si attacca bene alla testa attribuita a Luca e donata dall’imperatore Carlo IV alla cattedrale di Praga. Prova cruciale: è 2,5 volte più probabile che il Dna della reliquia sia di un siriano piuttosto che di un greco.
Conclude Barbujani: «Nulla vieta di ritenere che il corpo di Padova venga dalla Siria e sia lo stesso che la tradizione identifica con san Luca». Nulla vieta. La scienza non afferma, tutt’al più esclude. Ma il culto di san Luca, osserva il vescovo di Padova, prescinde dall’autenticità di quelle ossa. La fede è fede. In ogni caso a Luca è andata meglio che a san Gennaro: un team di chimici è riuscito a riprodurre il «miracolo» della liquefazione del suo sangue.