Giuseppina Manin, Corriere della Sera 4/3/2014, 4 marzo 2014
IL MAESTRO SCHIFF: «NON TORNO IN UNGHERIA»
«Leggi spaventose, messe a punto contro i rom, contro gli ebrei e i gay. Leggi contro la libertà di stampa. È spaventoso pensare quello che è diventata la mia Ungheria...». È molto triste András Schiff, grande pianista e direttore d’orchestra nato a Budapest 60 anni fa. Un sommo artista della musica, da sempre attento osservatore delle capriole della storia e della cronaca. «Mai avrei immaginato — riprende — che il mio Paese, terra antica di civiltà e tolleranza, si trasformasse in uno dei più xenofobi e razzisti d’Europa. Prima il partito Jobbik a seminare retorica ultranazionalista, poi le leggi autoritarie del governo Orbán... No, questa Ungheria non è più la mia patria. Non voglio più metterci piede».
Dichiarazioni molto dure, che le sono costate il marchio di «persona non grata».
«La stampa ungherese ha scritto cose terribili su di me e ho ricevuto minacce pesanti dal web. Qualcuno ha persino promesso di tagliarmi le mani».
Ma il cambio di rotta è nato da libere elezioni.
«È quello che fa più paura. È stata la maggioranza del mio popolo a volere quelle sterzate incivili. Ad aprile si tornerà a votare e nulla cambierà. Si andrà avanti sulla cattiva strada di negare la realtà. E persino la storia. L’Ungheria è stata a fianco di Hitler fino all’ultimo ma ora si dice che la colpa era tutta dei tedeschi. Ci si inventa una falsa innocenza per non affrontare un esame di coscienza. La Germania ha avuto il coraggio di farlo. Ed è rinata».
La rimonta della destra sembra però dilagare.
«Gran parte dell’Europa dell’Est è in marcia verso un nuovo fascismo. Del resto la sinistra è sempre più debole, ha fatto tanti sbagli. E allora la gente si rivolge ai fronti più reazionari sperando in garanzie contro la criminalità e l’immigrazione. Succede anche in Italia...».
Lei da anni abita in Toscana, che idea si è fatta del nostro Paese?
«Che è il più bello del mondo, il più ricco di talenti. Proprio per questo non riesco a capire come così tanti italiani abbiano creduto, e continuino a credere, a personaggi come Berlusconi. O anche a Renzi, un altro che promette mari e monti. Evidentemente esistono pure i creduloni di sinistra».
Forse è colpa di una crisi che spinge a sognare.
«È da quando sono nato che sento parlare di crisi... Certo, le diseguaglianze economiche esistono ma in Russia o in Cina ce ne sono ben di più. In Europa siamo ancora dei privilegiati».
L’Europa è un concetto che molti mettono in dubbio.
«L’Europa è un’idea bellissima ma così com’è non funziona. È nata sul denaro, per un gruppo ristretto di Paesi benestanti. Gli altri, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria, sono entrati troppo presto. Per una vera Europa c’è bisogno di cultura, ideali, valori comuni».
Che compito hanno in questo gli artisti?
«Grandissimo. Arte e politica non sono realtà separate. L’arte come intrattenimento non mi interessa, il suo compito è aiutarci a entrare meglio nel nostro tempo. Ci sono esempi illustri: Pablo Casals schierato contro la dittatura di Franco, Toscanini contro il fascismo, Thomas Mann contro il nazismo. Altri invece sono stati zitti o peggio. Penso a Richard Strauss o a Wagner. Non li ho mai diretti, in ogni loro nota avverto un insopportabile opportunismo politico».
Le piace invece Beethoven.
«Un carattere difficile, collerico, ma schietto e coraggioso. Da giovane preferivo Mozart e Schubert. Beethoven appartiene alla maturità. Certe sue pagine non si possono capire fino in fondo se non hai alle spalle molta esperienza. Solo a 50 anni ho deciso di affrontare le sue Sonate per pianoforte».
Ormai è la 21ª volta che esegue il ciclo... Oggi al Quartetto di Milano, in residence per questa integrale, affronterà le ultime tre, la 30, 31 e 32.
«L’ultima stazione, la più straordinaria. Mi piace eseguirle in ordine cronologico per mostrarne lo sviluppo. Mi hanno così coinvolto da scrivere anche un libro («Le sonate di Beethoven e il loro significato», Il Saggiatore e Società del Quartetto, ndr ). Le ultime tre sono state composte nello stesso periodo della Missa solemnis e sono impregnate di metafisica e filosofia. Tra tutte, la numero 32, opera 111, per me è la più grande. Il primo movimento ti porta all’Inferno, l’arietta del secondo in Purgatorio e in Paradiso. E alla fine, come succede a Dante, si esce fuori a riveder le stelle».