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 2014  marzo 04 Martedì calendario

IL FASTIDIO DI BERLUSCONI CHE TEME IL DOPPIO GIOCO: IMPEGNI NON MANTENUTI


ROMA — C’è sempre una prima volta, e sulle riforme per la prima volta Berlusconi sembra costretto al ruolo che in passato aveva lasciato a D’Alema e Veltroni. La parte del Cavaliere oggi la fa Renzi, che sulla legge elettorale riapre una trattativa considerata «già chiusa» dal leader di Forza Italia, e cerca in extremis un compromesso prima che l’Aula di Montecitorio inizi a votare il provvedimento. Se è vero che la mediazione (l’ennesima) ruota attorno a una versione «modificata» dell’emendamento presentato dal democratico D’Attorre — in base al quale il nuovo sistema elettorale varrebbe solo per la Camera — il nodo in realtà è tutto politico: è possibile tenere insieme il Pd, il Nuovo centrodestra e Forza Italia?
Sarebbe la quadratura del cerchio, a questo Renzi dice di aver lavorato: «Ora tocca a Berlusconi decidere se stare dentro il processo delle riforme oppure rompere. E non credo che rompere gli convenga». L’ipotesi di accordo c’è, così sostiene il premier, nonostante il capogruppo azzurro Brunetta per tutto il giorno gli abbia ripetuto «pacta sunt servanda». Già, ma quale patto dovrebbe rispettare il premier: quello verbale stretto con Alfano, davanti a Delrio e Franceschini chiamati «a far da testimoni» da Lupi? O quello scritto, stipulato con Verdini per conto di Berlusconi?
Perché il pasticcio sta tutto qui, sta nel gioco di prestigio con cui il leader del Pd ha tentato di salvaguardare la «doppia maggioranza», quella indispensabile a far partire il suo governo e quella necessaria ad avviare il percorso delle riforme. Ma il gioco è (quasi) finito e il Cavaliere contesta l’«inadempienza» di un protocollo che Renzi aveva firmato e dove erano stati fissati accordi e scadenza per porli in atto. È tutto nero su bianco, e l’ex premier minaccia di renderlo pubblico. Perciò ieri pomeriggio ha inviato da Renzi, insieme a Verdini, anche Gianni Letta. Segno che non si fidava più della mediazione gestita sulla corsia preferenziale fiorentina.
«Troppi impegni non sono stati finora mantenuti», ha detto Berlusconi ai suoi ambasciatori. A parte la legge elettorale, il leader di Forza Italia — secondo autorevoli fonti — contesta alcune scelte assunte dal premier sul ministero della Giustizia, e aveva affidato al suo Gran Ciambellano il compito di sondare il capo del governo anche su temi come la Rai e la struttura che alle Comunicazioni fino alla scorsa settimana ha assistito il lavoro di Catricalà. Quanto alla legge elettorale, il mandato a trattare prevedeva che non si dovesse più trattare, tranne su dettagli marginali. Ma l’emendamento D’Attorre, sebbene corretto, avrebbe lo stesso valore della norma scritta da un altro democratico, Lauricella. Altro che voto tra un anno. «Di fatto la legislatura verrebbe blindata», ha commentato Berlusconi.
In effetti, se davvero si varasse una legge elettorale funzionale solo a un ramo del Parlamento, sarebbe inevitabile riformare poi il Senato, per evitare l’ingovernabilità. Raccontano che Verdini abbia provato a minimizzare, ma l’impressione del Cavaliere — tramutatasi quasi in certezza — è che Renzi non sia in grado di garantire l’intesa, e che oggi — rispetto ai voti di Forza Italia sulle riforme — consideri prioritari i voti di Alfano per il governo. In realtà il problema di Renzi è più complessivo: non può arrivare a Montecitorio senza aver trovato un accordo all’interno del Pd. In caso contrario rischierebbe di venire «sfiduciato» dal suo stesso partito su quegli emendamenti che — come sottolineava ieri Lauricella — «abbiamo presentato in modo palese e siamo pronti a votare in modo palese». Più chiaro di così.
Perciò non sarebbero valse le rassicurazioni di Verdini, per questo Berlusconi — innervosito dalla piega degli eventi — ha lanciato ieri un ulteriore messaggio d’avvertimento al presidente del Consiglio tramite il suo consigliere politico, Toti: «Il credito verso Renzi si sta esaurendo». E dentro Forza Italia è iniziato a manifestarsi il malcontento verso il «mediatore», tra battute sugli sms che «i due fiorentini» si sono scambiati negli ultimi mesi e analisi preoccupate sulle prospettive politiche del partito, costretto ora a trattare da una posizione di debolezza con Renzi e appeso alle sue proposte, prima di decidere se accettarle o rompere.
In verità l’argomento era stato già affrontato dal capogruppo forzista al Senato, senza conoscere l’esito dell’ultima mediazione sulla legge elettorale. Nello scorso fine settimana, incontrando Berlusconi, Romani aveva svolto un esame severo della linea scelta negli ultimi sei mesi: «Silvio, ti rendi conto cosa sarebbe oggi, quale forza avremmo, se il Pdl fosse rimasto unito?».