Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 01 Sabato calendario

IL REGALO VIRTUALE ALLE BANCHE CHE IRRITA LA UE


A parlare male delle banche sono buoni in molti, a difenderle solo i banchieri. Ieri, apparentemente, anche la Commissione europea ha alzato un sopracciglio. Mettendo in dubbio la cosiddetta rivalutazione delle quote sociali di banca d’Italia. Bankitalia appartiene ad una nutrita pattuglia di istituzioni finanziarie oggi più o meno private. Intesa e Unicredit ne detengono la maggioranza. Anche se formalmente è un’anomalia il fatto che il controllato controlli il controllore. Nei fatti gli uomini di Bankitalia, negli anni, più che difendere la singola banca, con le quali sono piuttosto rigorosi, difendono il club al completo. Ebbene il governo Letta ha deciso di cambiare le cose e ha stabilito in 7,5 miliardi il valore delle quote del prestigioso istituto. Le banche private azioniste, dicono i critici, si sono così viste materializzare in casa una gigantesca plusvalenza patrimoniale, grazie ad un tratto di penna. Il solito regalo alle banche. L’alzata di sopracciglio europeo può far pensare che costoro abbiano qualche buona ragione.
Chi conosce questa zuppa sa, come più volte scritto, che per quanto ci riguarda le banche italiane più che azioniste di Bankitalia sono azioniste di riferimento di qualsiasi inquilino metta piede a Palazzo Chigi. Sono state le banche ad ingozzarsi di titoli del debito pubblico quando privati e stranieri li gettavano nel cestino. Pretendono riconoscenza, ma soprattutto esigono di essere politicamente considerate per ciò che sono: i detentori delle ipoteche sulla nostra casa comune.
Interpretare la rivalutazione delle quote di Palazzo Koch solo come un regalo alle banche è riduttivo. Dal punto di vista europeo è anche ridicolo: nel resto dei paesi comunitari, compresa la Germania, lo Stato centrale ha impiegato decine di miliardi di euro sonanti per salvarle. Non si capisce dunque per quale dannato motivo i salvataggi degli altri siano possibili, i nostri arrangiamenti invece no. Posto che la rivalutazione di un cespite (pensate che il capitale nominale pre decreto era pari a 156mila euro) è più che legittima. Dal punto di vista domestico non si considera poi che il vero regalo se lo è autoconcesso il Tesoro. Su questo giochetto contabile Saccomanni ha incassato quanto necessario per far quadrare i conti pubblici: più di un miliardo di euro. Un domani quando le banche cederanno le loro quote (sono infatti stati introdotti dei vincoli stringenti) potranno realizzare delle plusvalenze; e anche sul fronte dei dividendi già dal 2014 le cose potrebbero migliorare, posto che sono distribuiti in funzione del capitale ora rivalutato. Ma oggi per le banche è un regalo poco più che virtuale dal punto di vista del conto economico, più sostanzioso dal punto di vista patrimoniale ai fini delle burocrazie di Bruxelles. D’altronde la valutazione finale di queste quote, senza offesa, sembra più simile a quella dei bitcoin che a quella di un ragioniere. Bankitalia ha un attivo, comprendendo l’oro, superiore ai 100 miliardi, e un patrimonio di circa 23 miliardi: il numeretto magico di 7,5 miliardi sembra uscito più considerando il gettito che serviva al Tesoro che al reale valore contabile di una banca centrale la cui redditività e patrimonio sono molto difficili valutare.
Per avere un quadro completo conviene vedere tutto ciò che ha fatto il governo per le banche negli ultimi mesi dell’anno scorso.Le quote di Bankitalia sono un regalino virtuale a fronte di una tassa subito esigibile. Il governo in compenso ha aumentato le imposte sul reddito di impresa bancaria della bellezza di 7,5 punti. Con la solita idea per la quale le tasse non si traslano, si pensa di colpire i banchieri cattivi e non il sistema economico nel suo complesso. Vabbè. Comunque si tratta di una botta secca. Ad Intesa SanPaolo, per citare la numero uno, la manovra di Letta&co costerà la bellezza di 200 milioni di euro aggiuntivi di tasse. Il saldo tra banca d’Italia e Ires non è ancora positivo per le banche. Ma può mai essere? Certo che no. La vera chiave di volta si chiama deducibilità degli accantonamenti per perdite. La facciamo semplice: fino a ieri le banche ci mettevano diciotto anni a scontarsi fiscalmente i prestiti morti. Da oggi potranno accantonare fino ad un quinto. Un favore potentissimo in un momento come questo in cui le sofferenze si avvicinano al 10 per cento del Pil. Tanto che si prevede che le banche dalle spalle patrimoniali solide nel quarto trimestre del 2013 aumentino considerevolmente gli accantonamenti su perdite: prendendo sempre Intesa, il mercato inizia a prevedere che gli accantonamenti possano passare dai 5,5 miliardi previsti a quasi sei. Vedremo. Quel che è certo è che la deducibilità diventa ora simile a quella che avviene negli altri paesi europei e dunque la rettifica della norma penalizzante introdotta a sua tempo dal governo Berlusconi ( in un decreto sviluppo del 2008, sic!) sarà il vero grande regalo fiscale ( meritato?) che gli istituti creditizi si portano a casa. Con un piccolo paradosso fiscale, come sempre in Italia: grandi vantaggi a chi ha un mucchio di crediti in sofferenza o inesigibili e pochi utili, e grande sfiga tributaria nei confronti di quegli istituti finanziari che non hanno sofferenze (e dunque non godono del beneficio della riduzione degli anni di accantonamento) e fortiutili (decapitati dall’aumento monstre dell’Ires bancaria).