Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 1/3/2014, 1 marzo 2014
DAL PRIMO COMPUTER ALLE CITTÀ ECOLOGICHE
Come Maurizio Crozza ha ben ricordato dal palco di Sanremo il primo personal computer al mondo è stato inventato da un ingegnere torinese, Pier Giorgio Perotto, capo progetti e ricerche alla Olivetti.
La rivoluzionaria macchina - soprannominata «Perottina», nome ufficiale «Programma 101» - fu lanciata nel 1965. Mezzo secolo dopo incontro l’unico sopravvissuto di quel gruppo di geniali italiani pionieri dell’informatica: Mario Bellini, l’architetto-designer che, agli inizi della sua prestigiosa carriera, diede un’impronta speciale - «Un corpo, una sostanza, un’anima» - a quel rivoluzionario prototipo. Bellini, milanese, classe 1935, ricorda: «Vidi per la prima volta «quella cosa» una domenica mattina a casa di Roberto Olivetti in piazza Castello, a Milano; con lui c’era l’ingegner Perotto, persona d’assoluto talento. A Olivetti mi aveva presentato Augusto Morello; ero di mezza generazione più giovane dei protagonisti di quei tempi (Gio Ponti, Gardella, Albini, Zanuso, Caccia Dominioni ecc.) ma già con la prima macchina che avevo disegnato per Ivrea, una marcatrice automatica, avevo vinto il Compasso d’Oro. Olivetti e Perotto mi mostrarono un macchinone con un muso e una specie di colonnina. Dissero che volevano un oggetto da tavolo più snello e più friendly. Amichevole». Colore&nuovi materiali. Ben prima di Apple Bellini ideò per Olivetti dei prodotti (dalle Divisumma alle Logos alle macchine Praxis) che diventarono vere icone; non a caso Steve Jobs gli offrì - invano - di lavorare per la società di Cupertino.
È amaro ricordargli quella sua scelta mentre nell’Italia della crisi alcuni suoi progetti sembrano arenati. «Soffro soprattutto di non vedere realizzata, a 13 anni da quando ho vinto il concorso, la grande biblioteca pubblica di Torino! Sarebbe stata la prima public library italiana», dice il celebre architetto. Allora si è pentito di aver detto di no a Steve Jobs? Sinceramente. «No, mai», mi risponde. Giacca di pelle e stivaletti, energia e fisico ancor da giovanotto, Bellini spiega: «Jobs mi aveva sentito parlare alla conferenza sul design di Aspen dedicata quell’anno all’Italia (ricordo che c’erano anche Bernardo Bertolucci, Sergio Pininfarina, i Missoni); gli erano molto piaciuti il nostro stile, le nostre idee. Insomma, l’Italia. Perché rifiutai? Non ho mai voluto un lavoro fisso; ho coltivato la centralità di essere progettista attorno a me e non a un’azienda. Con Olivetti avevo una consulenza in esclusiva e godevo di una libertà impagabile, irripetibile. Ho davvero avuto la fortuna di vivere all’alba di una rivoluzione; in quei tempi nascevano cose mai esistite. Da allora in poi - era prevedibile, l’ho anche scritto - saremmo stati invasi da scatoline sempre più piccole, più sottili e più potenti. Innamorarsi di queste cose è assurdo. Sono felice di non essere rimasto a disegnare oggettini elettronici!». Finito un mondo, nessun rimpianto? «Quando un terreno si asciuga non serve autoflagellarsi ma andare avanti. Allora, accesi il mio radar da architetto», ribatte tosto.
E’ la seconda fase della vita di Mario Bellini: da designer di successo (25 sue opere sono nella collezione permanente del MoMa di New York) ai progetti realizzati in giro per il mondo da villa Erba a Como al quartier generale della Deutsche Bank a Francoforte, dal Portello a Milano al Design Center a Tokio, dalla National Gallery of Victoria a Melbourne al Dipartimento di Arti Islamiche al Louvre. Scorrono 20 anni, 150 viaggi in Giappone, 45 in Australia, altri 7 Compassi d’Oro. Fine della storia? Tutt’altro. Nella terza fase della vita il pioniere Bellini ha trovato la sua ennesima frontiera nella Silicon Valley cinese dove nascerà per 1 milione di persone la nuova Zhenjiang. «Sarà una vera eco-city. Un arcipelago di 5 piccole città, ciascuna di 250 mila persone, che galleggeranno nel verde con tramvie elettriche e piste ciclabili. Ma una città non è solo un insieme d’edifici e collegamenti. Pensando alle nostre splendide città storiche - le piazze, le prospettive, le scalinate, i portici - i cinesi mi hanno chiesto un contributo». Dal primo computer all’eco-city Bellini sa infondere un’anima italiana.