Giulia Zonca, La Stampa 1/3/2014, 1 marzo 2014
NOI NON CI SIAMO NEMMENO ACCORTI CHE FEDE ERA PRONTA PER L’OLIMPIADE
In casa Pellegrini il cronometro non è mai entrato, i risultati neanche, solo le medaglie, arrivate prima di poterle immaginare: «Quasi mi vergogno a dirlo, ma se mi chiedete con che tempo mia figlia ha vinto le Olimpiadi non so rispondere. Il solo numero che ricordo è 27 mila, come i viaggi che abbiamo fatto per portarla in piscina. Quattro volte al giorno, per anni».
Roberto Pellegrini, lei che è il padre di una campionessa come ha reagito alla notizia di un genitore che ha dopato il figlio?
«Non riesco a capire. E non è per fare il superiore. Federica per me è una figlia, non un’atleta; non riesco neanche a immaginarla come una star dello sport. Al di là della deriva del caso di Treviso quel che è più assurdo è l’approccio. Mi sembra di stare in un altro mondo».
In famiglia non vi è mai capitato di spingere vostra figlia, magari per motivarla?
«Fede è passata dalla piscina di Spinea all’argento olimpico 2004. Noi non avevamo neppure capito che fosse a quel livello. Figurarsi che ad Atene abbiamo comprato i biglietti sbagliati. Di certo non ci aspettavamo quel successo».
Non siete mai stati avvicinati da qualcuno che consigliava farmaci miracolosi?
«No. La ragazza è sempre stata iperprotetta, mia moglie era segretaria della piscina di Mestre e l’88 è stata una bella covata. Intorno a lei c’erano tanti ragazzi nel giro delle nazionali e il cordone dei genitori era strettissimo. Stava sempre con qualcuno di cui ci si poteva fidare. Certo erano anche altri tempi. Allora non sarei mai andato a pensare a certi rischi. Oggi forse sarebbe diverso».
Cosa è cambiato?
«Il mondo delle piscine è diventato di moda, c’è chi pensa che un nuotatore professionista guadagni cifre assurde, il che non è nemmeno vero e vedo certi bambini che arrivano a lezione con il superbody da 300 euro. Sono felice che i miei figli siano grandi e che non debbano respirare questa aria malsana. Anche se poi non credo nemmeno che si tratti di ambire al successo. Si punta solo a guadagnare tanto».
Pensa che il padre di Treviso abbia perso la ragione per questioni economiche?
«L’esasperazione è sempre legata ai soldi. Io ho tolto mio figlio Alessandro dalle scuole calcio perché la domenica vedevo genitori con la bava alla bocca appesi alle ringhiere. Sembrava che il loro destino dipendesse dai minuti giocati da un bambino. Ale non sarebbe mai diventato un professionista, ma credo gli sarebbe piaciuto continuare per un po’. Non me la sentivo. Era un brutto spettacolo e un brutto insegnamento. Quel tipo di smania non può nascere dal desiderio di vedere il proprio ragazzo diventare un campione. È un sentimento più corrotto. Sono sicuro che dietro quelle urla ai campetti c’è il progetto di sfruttare una possibile carriera importante».
Davanti a un ragazzo che è stato tolto dalla tutela dei genitori prova più rabbia o più tristezza?
«Resto destabilizzato. Penso alla mia esperienza e ricordo bene di non aver mai avuto la consapevolezza che mia figlia avrebbe vinto delle medaglie. Non avrei mai potuto costruirle una strada: non capivo un tubo di nuoto. E oggi, dopo tutto quello che ha fatto Federica non è cambiato nulla. È la mia bambina, non un nome ai blocchi di partenza».