Véronique Viriglio, Il Fatto Quotidiano 3/3/2014, 3 marzo 2014
ITALIANI D’AFRICA, IL GRANDE SOGNO È OLTRE IL MARE
Quando si parla di Africa,è quasi sempre per raccontarne guerre, fame e povertà che ogni giorno spingono centinaia di somali, eritrei o maliani a fuggire in Europa. Tuttavia gli equilibri tra Sud e Nord stanno cambiando: da terra di immigrazione il continente africano sta diventando una nuova frontiera per i cittadini europei in cerca di opportunità lavorative. Un flusso che va intensificandosi, di pari passo con la crisi economica che attanaglia parte dell’Occidente. Di fronte all’Italia un continente in piena crescita, ricco di risorse naturali, mercati da conquistare, allettanti prospettive di investimenti e di impiego. Sul web pullulano siti dedicati alla ricerca di occupazione in Africa - con offerte che vanno da elettricisti industriali a chef, da infermieri a insegnanti - e blog di chi si è già trasferito. “Il battito dell’Africa” - Africa’s pulse”, ultimo rapporto della Banca mondiale - pulsa già per migliaia di italiani, cambiandone radicalmente la vita…in meglio.
Cervelli in fuga in Sud Africa
“E pensare che in Italia un po’ per il nepotismo dilagante nel mondo accademico ed un po’ per la riforma Gelmini, che ha contribuito a tagliare fondi e prospettive per giovani ricercatori, non ho avuto accesso ad alcun concorso” . Esordisce così Lorenzo Fioramonti, romano classe 1977, da dieci anni in Sudafrica. In tempi brevissimi è stato assunto all’Università di Pretoria come professore di economia politica, con contratto a tempo indeterminato. “Successivamente ho potuto creare il Centre for the Study of Governance Innovation, che ora impiega 16 giovani ricercatori, inclusa una dottoressa italiana di origine pisana, Giulia Piccolino. Ricevo decine di mail di accademici italiani che chiedono di poter venire a lavorare qui. Ormai i ricercatori del Bel Paese non fuggono soltanto nelle nazioni più avanzate ma sempre di più se ne vanno in paesi come Cina, Brasile, Corea e Sudafrica. Chi l’avrebbe mai detto, anche solo cinque anni fa, che un paese come il Sudafrica sarebbe diventato una destinazione di fuga per i cervelli italiani” conclude Fioramonti. “In Italia il mercato appare saturo e stanco. Al contrario in Ghana abbiamo trovato un clima stimolante, l’opportunità di metterci in gioco e realizzare dei progetti interessanti. L’Africa è il futuro” racconta con slancio Emanuele Nenna, manager dell’agenzia pubblicitaria Now Available Africa, approdata ad Accra direttamente da Milano con un team di giovani italiani affiancato da una quindicina di professionisti della comunicazione provenienti da cinque paesi africani. L’azienda, prima agenzia pubblicitaria straniera nel paese, ha già firmato contratti con importanti clienti tra cui Nescafé, Mitsubishi Pajero e la locale Cal Bank.
A dare lavoro agli italiani sono le grandi imprese tricolori operative da anni in Nord Africa e che si sono progressivamente spinte a sud del Sahara. Per citarne alcune: Eni (idrocarburi), Danieli (siderurgia), Saipem (energia), Trevi e Rizzoni De Eccher (infrastrutture), Salini-Impregilo (costruzioni), Ansaldo, Italcementi, Fin-meccanica e Alex Bank (Gruppo Intesa San Paolo). Ma le storie più insolite ed interessanti sono quelle della piccola e media imprenditoria italiana ben impiantata in diversi paesi africani. Tramontato il mito di Malindi - per decenni la Little Italy africana in Kenya - si sono diversificate prospettive e destinazioni degli investitori italiani.
Il vino della Tanzania
Tra queste l’Angola , dove 22 aziende del Made in Italy si sono conquistate una posizione di tutto rispetto. Intertransport Center Spa, leader della logistica e della distribuzione nell’ex colonia portoghese, e il Gruppo Cremonini, colosso del commercio della carne con un giro d’affari di 30 milioni di dollari annui a Luanda. Cresce la presenza italiana anche nei mercati dell’Africa occidentale e centrale - Costa d’Avorio, Niger, Camerun, Burkina Faso, Senegal, Uganda – con piccole e medie società attive nell’import-export, turismo, cibo e servizi destinati all’emergente classe media. Nell’arcipelago di São Tomé e Príncipe c’è il fiorentino Claudio Corallo che coltiva ed esporta in tutto il mondo cacao e caffè di qualità pregiata. In Tanzania da dieci anni l’ingegnere veronese Fiorenzo Chesini produce e vende il vino della savana di Dodoma con il marchio della cantina italiana della Cetawico (Central Tanzania Wine Company).
Cooperazione e volontariato sono l’altro fiore all’occhiello della presenza italiana in Africa, che sfociano sempre di più in opportunità lavorative stabili. Romana in Costa d’Avorio da 4 anni e mezzo, ad Abidjan Imma Pagano segue progetti di cooperazione allo sviluppo che vanno dalla protezione dei minori alla sanità. “Il comune denominatore di queste esperienze è stato lo scambio. Nell’immaginario collettivo si pensa a chi fa questo tipo di lavoro come a qualcuno che dona tempo e conoscenze. Ma la realtà è ben diversa. Qui le persone non sono passivamente in attesa del nostro aiuto. I miei colleghi ivoriani sono competenti, disponibili e si danno da fare. Oltre ad aver imparato molto da loro dal punto di vista professionale, più di tutto ho imparato ad allargare gli orizzonti, apprezzando la diversità e guardando alle situazioni da un punto di vista nuovo, meno eurocentrico”. Giovanni Valensisi, da più di un anno ad Addis Abeba dove lavora per un’istituzione internazionale, si dice convinto che “vivere in Africa sia utile per sbatterci in faccia il privilegio di chi vive tra mille comodità anche in un periodo di crisi, e tra piccoli interessi e desideri di consumo indotti si è scordato la dura realtà di altri 2 miliardi di persone”. Per il veronese trapiantato nella capitale dell’Etiopia, ex colonia italiana, “oggi più che mai l’immagine di un’Africa che lotta convulsamente tra mille difficoltà per risollevarsi da decenni di povertà, guerre, e ingiustizie locali e globali, dovrebbe farci aprire gli occhi e la mente. Altro che prendersela con quei poveri migranti - peraltro una piccola percentuale di africani - che rischiano la vita nel Mediterraneo per cercare un futuro migliore”. Per il padovano Enrico Rampazzo, dipendente di ‘Plan International’- organizzazione operativa nel settore dell’istruzione - stabilito a Kigali dal 2009 con moglie e figli, si tratta di “un’opportunità culturale incredibile, una scelta di vita che cambia del tutto il tuo sguardo sull’Altro. Vivendo qui ti rendi conto che non siamo poi così diversi. L’importanza della famiglia per noi italiani dà una chiave importante che ci aiuta a parlare la stessa lingua dei ruandesi. Anche loro avvertono la vicinanza culturale e riusciamo ad integrarci benissimo”.
I medici che curano il continente
Partono più volte l’anno da Genova medici, infermieri e tecnici dell’associazione volontaristica Medici in Africa, nata nel 2007. “Riscontriamo un interesse sempre maggiore degli operatori sanitari italiani alle problematiche dei paesi emergenti. Nel periodo estivo più di 2000 medici si mettono a disposizione per andare in Africa. Così oltre al training siamo diventati un punto di congiunzione tra offerta e domanda, una specie di ufficio di collocamento” dice il professore Eduardo Berti Riboli, presidente della Onlus, evidenziando “le crescenti richieste di importanti aziende italiane (Eni e Salini, ndr) in medici preparati alle realtà africane, pronti ad andare nei cantieri a tutela dei lavoratori”.