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 2014  marzo 03 Lunedì calendario

BRILLA DI PIÙ L’ORO DI PECHINO E LE QUOTAZIONI SONO IN RECUPERO


Dopo oltre mezzo secolo l’India non è più il primo consumatore mondiale di oro e cede lo scettro alla Cina. Ad accelerare il passaggio di consegne nel possesso del bene-rifugio per eccellenza, i prezzi in calo nel corso del 2013, una stretta normativa di New Delhi, la crescita economica cinese, ma pure i timori dello scoppio di una bolla immobiliare e di un credit crunch nel Dragone, sommata al rallentamento delle potenze emergenti. Tutto questo non muta però il dato essenziale: la Cina conquista la leadership globale anche nella corsa al metallo che sostiene i mercati valutari e promette di mantenerla nel lungo periodo. A sorprendere, la velocità e la portata del sorpasso. Nel 2013 la Cina ha acquistato 1.065,8 tonnellate di oro fisico, con un aumento del 37% rispetto al 2012. Nel Paese ci sono inoltre 300 tonnellate di oro non classificate, poiché ancora in fase di lavorazione. I consumi reali cinesi, lo scorso anno, sono stati dunque di quasi 1400 tonnellate. Anche la domanda indiana è cresciuta, ma a ritmi ben più contenuti: 974,8 tonnellate annue, più 13%. In luglio il governo di New Delhi ha limitato le importazioni d’oro, in modo da ridurre il deficit del commercio estero, aumentando le imposte. Solo nel terzo trimestre i provvedimenti hanno causato un calo della domanda del 63%. Gli acquisti frenetici degli indiani alla vigilia delle misure sono stati compensati da almeno 200 tonnellate di oro entrate poi nel mercato clandestino. Nonostante ciò, Pechino sarebbe
comunque diventato il primo cliente mondiale di oro e il sorpasso conferma la costante espansione della sua classe media. Oltre 400 milioni di cinesi godono di un benessere crescente e cominciano a poter differenziare i propri risparmi. L’urbanizzazione di massa travolge anche l’antica fedeltà alle banche di Stato e la più recente passione per le Borse: nuovi ricchi e ceto medio non intaccano gli alti livelli del risparmio, ma in mancanza di investimenti alternativi sicuri, riservano una parte dei guadagni all’acquisto di lingotti. La notizia positiva è la stabilizzazione della crescita cinese, pur afflitta dalla frenata. Quella negativa è una crescente sfiducia collettiva nella sua capacità di tenuta. Ad essere trasformate in oro, ossia immobilizzate e nascoste al fisco, sono risorse che fino ad un anno fa avevano alimentato produzione, mercato immobiliare, piazze finanziarie e risparmio. Il crollo delle quotazioni, per la mentalità speculativa cinese, è poi risultato determinante. Nel 2013, nonostante un calo dell’offerta del 2%, l’oro ha perso il 28% del suo valore. La rapidità dell’epocale ricollocazione aurea nel 2014 difficilmente terrà ritmi simili. I segnali negativi sulla ripresa Usa, la nuova politica della Fed, la spossatezza della crescita nelle giovani economie a segno più, la crisi del lavoro in Europa, l’indebitamento del Giappone e il rallentamento cinese stanno facendo già risalire i prezzi. Tra gennaio e febbraio il trend rialzista ha segnato un più 10%, prova che anche gli investitori tradizionali tornano al bene-rifugio. Più tentazioni per l’oro, dunque, ma pure quotazioni in crescita. Difficile però immaginare un raffreddamento dell’interesse cinese. Pechino, rispetto a New Delhi, è indietro di un decennio e le riserve cinesi sono meno della metà di quelle indiane. La proprietà privata di oro in Cina fino al 2002 era vietata e i lingotti più venduti fino ad oggi sono quelli da soli 50 grammi. L’indebitamento delle amministrazioni locali, le incertezze dei mercati e le difficoltà di liquidità delle banche spingerà così ancora i cinesi verso il nuovo status symbol della ricchezza interna. Un potere mondiale invisibile che Pechino è decisa ad esercitare fino in fondo.