Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 03 Lunedì calendario

LA REGOLA DEL SUCCESSO 10.000 ORE DI PRATICA E SEI BRAVO IN TUTTO


LONDRA Datemi 10 mila ore e diventerò un esperto, un professionista o un campione in qualunque cosa. Parafrasando la massima di Archimede, la Bbc cita una serie di libri e di studi recenti per affermare che il talento non esiste o non basta: chiunque può primeggiare in qualsiasi disciplina, se vi si applica intensamente per un sufficiente periodo. E quanto sarebbe un periodo sufficiente? Varie ricerche concordano: 10 mila ore. Calcolando che uno investa nell’attività prescelta otto ore al dì, in sostanza non facendo altro, servirebbero dunque 1.250 giorni, su per giù 3 anni e mezzo, per impadronirsene con totale maestria. Ciò che distingue chi ha successo e chi no sarebbe insomma l’allenamento, più che un’innata predisposizione.
Negli ultimi anni sono usciti almeno tre saggi che popolarizzano
una simile tesi: “Outliers” di Malcom Gladwell, “Talent is overrated” di Geoff Colvin e “The talent code” di Daniel Coyle. Ma il primo concetto di 10 mila ore di training per eccellere risale a uno studio del 1993 del professor Anders Ericsson dell’università del Colorado intitolato “The role of deliberate practice in the acquisition of expert performance”. Nel suo saggio, lo psicologo americano esaminava le abitudini di un gruppo di violinisti. Tutti avevano cominciato a suonare il violino a 5 anni, tutti sembravano piuttosto portati per lo strumento e tutti, da bambini, vi si dedicavano approssimativamente per lo stesso tempo. Ma a 8 anni di età, il tempo dedicato a esercitarsi variava. A 20 anni, i violinisti più affermati avevano suonato per una media di 10 mila ore ciascuno, mentre quelli meno bravi non superavano le 4 mila ore. Se bastasse il talento puro, osservava lo studio, non sarebbe stato impossibile vedere emergere un violinista dopo 5 mila ore di musica. Invece la costante era che il successo arrivava intorno a quota 10 mila. Ergo, concludeva la ricerca, è quello il numero magico, la cifra del successo, molto più del talento.
Su quanto pesi il talento in sé, le opinioni divergono anche tra i teorici delle 10 mila ore. Gladwell, giornalista del New Yorker e autore di best-seller internazionali, ammette che i Beatles erano «dei geni nati, avevano enormi dosi di talento naturale ». David Epstein, in un altro volume su questa materia, “The sports gene”, nota che i giocatori di baseball professionisti hanno in media una visione quasi due volte superiore al normale, concludendo che «il talento innato è come l’hardware di un computer, mentre l’allenamento è il software»: il primo ha bisogno del secondo per funzionare, ma anche viceversa. Con una celebre battuta, Hemingway diceva che il successo è 1 per cento «inspiration» (ispirazione) e 99 per cento «perspiration» (sudore). Non occorrono scienziati e studiosi, tuttavia, per sapere che l’allenamento è determinante: sbagliando s’impara, afferma un vecchio proverbio italiano; “practice makes perfect”, la pratica rende esperti, conferma uno inglese. Se per 10 mila ore, tanto meglio.