Tommaso Ciriaco, La Repubblica 3/3/2014, 3 marzo 2014
TONINO E LA FAMIGLIA TUTTA IN POLITICA “FANGO SU DI ME”. E INSULTA I GIORNALI
ROMA — La villa di Antonio Gentile detto “Tonino” è in cima a una collina. Da lì domina Cosenza, feudo di un consenso a conduzione familiare. Nelle ore più difficili, resta immobile nella bufera. «È una tempesta in un bicchiere d’acqua, vediamo se passa ». E mentre il pressing aumenta, il sottosegretario dai gessati aggressivi si concede al telefono ai big del Nuovo centrodestra: «Non mi dimetto, non ho fatto nulla - è la linea - Da tre giorni sto male. Resto comunque un uomo di partito, a disposizione. Ma questa è una montatura».
Chiamato in causa in un’indifendibile storiaccia di pressioni e censura, non ha voglia di mollare. Bastone e carota, lunghi silenzi e improvvisi contrattacchi. Si muove così, Gentile. E ieri ha sferrato l’affondo: «La macchina del fango partita dalla mia regione ha contaminato anche i grandi giornali. Sono trasparente e con me lo è la mia famiglia». Sa di poter contare su una folta pattuglia di senatori calabresi. Sono i soldati che voltarono le spalle al Cavaliere - sotto la regia di “Tonino” e del governatore calabrese Giuseppe Scopelliti - salvando il governo Letta. Gli stessi che regalano un prezioso margine di sicurezza anche all’esecutivo di Renzi.
Nel Ncd tutti conoscono il peso specifico di questa cordata meridionale. Una decina di senatori, numeri simili anche alla Camera. La Calabria, poi, è l’unica regione governata dagli uomini di Alfano. Se mai il sottosegretario dovesse capitolare, lo farebbe solo per lasciare il posto a un altro membro del suo manipolo di parlamentari.
La famiglia è tutto, nella saga dei Gentile. Prima socialisti - avversari e poi amici di Giacomo Mancini - per un breve tratto pure repubblicani, poi folgorati dal berlusconismo, infine approdati alla corte di Angelino Alfano. Infrastrutture e sanità sono i cavalli di battaglia di questa armata cosentina. Il fratello maggiore Pino - più volte consigliere regionale, sindaco e oggi assessore ai lavori pubblici nella giunta di Scopelliti - mette le basi per la rete di relazioni di questa famiglia piccolo borghese cresciuta nel rione Massa, centro storico di Cosenza. Le ville in collina arrivano dopo, al culmine della scalata.
“Tonino”, il senatore, affina il meccanismo. Giovanissimo segretario provinciale socialista, entra nel cda della Cassa di risparmio di Calabria. Finisce in un’inchiesta, è oggetto di un ordine d’arresto, ma è prosciolto da tutte le accuse. Costruisce intanto una macchina di consenso da ventimila preferenze. Fisse: «Ci possono contare sempre, indipendentemente dal partito con cui si candidano», ammettono gli avversari non senza un pizzico d’invidia. Il terzo fratello, Lello, guida a lungo la Uil calabrese. E c’è gloria anche per Katia - figlia di Pino - ex vicesindaco di Cosenza. Un mitico spot racchiude l’essenza di questa storia. Il volto del padre si trasforma - fotogramma dopo fotogramma - in quello della figlia. Poi lo slogan: “StoriKamente
Gentile”.
Oggi che l’attacco mette a dura prova le mura di cinta del feudo, Gentile non resta a guardare. «Ora racconto la mia verità», anticipa allo stato maggiore del Ncd poco prima del pranzo domenicale.
Eccola, la verità del senatore. «Mio figlio è stato messo alla gogna sulla base di niente», l’Ora di Calabria è «espressione della corruttela più truce» e «io non ho mai chiesto a nessuno di bloccare notizie». Querela, Gentile. E mette in fila alcune circostanze: sostiene che la notizia incriminata fu pubblicata sul sito del Corriere della Calabria e il 19 febbraio sulla Gazzetta del Sud.
Ricorda i precedenti penali del padre dell’editore dell’Ora, Piero Citrigno, «oggi ai domiciliari per usura». E attacca il figlio, Alfredo: da anni «sono oggetto delle sue intimidazioni».
Chiama pure in causa «i grandi quotidiani , la Fnsi, l’Ordine e l’Inpgi» per la storia di Alessandro Bozzo, «un giornalista che si è tolto la vita dopo che lo stesso Citrigno lo aveva obbligato a firmare un contratto capestro di 800 euro mensili». Sostiene che per il direttore Regolo lavorano cronisti sottopagati e senza contributi. Eppure, conclude, i miei detrattori rappresentano «la libertà di stampa per il Corriere, Repubblica, Sole 24 ore, il Giornale, per un quotidiano diretto dal figlio di un eroe, ucciso barbaramente da chi, sulle colonne di Repubblica, si erge ad intellettuale nonostante sia stato condannato a 22 anni».
Non è detto che la tempesta passi. «Non sono indagato, non ho fatto nulla - ripete in privato ai colleghi - perché mai dovrei dimettermi? ». Per adesso resiste, “Tonino”, anche se l’ascesa impetuosa è andata a sbattere contro la rotativa di un giornale di provincia. E il feudo è sotto assedio.