Michela Tamburrino, La Stampa 3/3/2014, 3 marzo 2014
DE SICA: “LA MIA CINECITTÀ RACCONTA LA STORIA D’ITALIA”
Il successo piace tanto a Christian De Sica. Che banalità, è uomo di spettacolo. Ma per lui non è un discorso di vanità, quella non lo interessa, sarà perché il padre non ne era affetto e ha trasmesso ai suoi figli il non-virus. Gli piace, piacere, perché gli restituisce l’affetto della gente. Una condizione che lo riscalda nel profondo. Milano, Napoli Genova, ovunque festa per lo spettacolo Cinecittà nel quale canta, balla, racconta il dietro le quinte di un mondo che è lo specchio deformato del nostro paese. Da domani è al Teatro Colosseo di Torino. «Adoro recitare a Torino. Una volta, all’Alfieri, tornai indietro dai camerini perché delle persone continuavano a tirarmi cioccolatini in scena. Una goduria».
De Sica, ma come è la sua Cinecittà?
«La prima volta ci andai bambino con mio padre. Si girava l’uccisione del finto generale della Rovere interpretato da mio padre. Rossellini gli diceva di fare di meno perché papà si rotolava, si rotolava e non moriva mai. E glielo diceva mentre mangiava La Coppa del Nonno».
Immagine bizzarra. Poi?
«Poi tanti set, con Boldi, il Grande Fratello. Dal Ventennio fascista ad Amici, la casa di Fellini, di Germi. Il Paese imperiale e quello democratico. Ho un’orchestra di 20 elementi e 8 ballerini, una canzone scritta appositamente da Claudio Mattone e qualche momento tenero, aneddoti sull’Alberto Sordi autentico, il rivoluzionario».
Esempi di tenerezze?
«Quando racconto la storia d’amore tra mio padre e mia madre Maria Mercader nella Roma occupata dai nazisti».
Ma non ne voleva fare un film?
«Certo, pensi che stupidi, il pubblico impazzisce per quel racconto. Avevo anche trovato un regista, l’americano Peter Chelsom. Poi non se ne è fatto più niente. Un gran peccato».
Ne ha di rimpianti vero?
«Dovevo fare L’uomo delle stelle di Tornatore ma non mi ha aspettato, ero in Brasile a girare un film di De Laurentiis e poi con Fellini, dovevo fare Casanova. Poi Federico mi disse che la produzione aveva voluto “quella mazzancolla” di Donald Sutherland».
Mazzancolla il crostaceo?
«Sì, sì, disse proprio così. Chissà come avrebbe chiamato me».
Si è mai pentito di aver fatto i Cinepanettoni?
«Le dico subito, il mio contratto con De Laurentiis è scaduto ma se lui mi offrisse un altro film lo farei di corsa. Li chiamano così solo perché escono a Natale ma le altre commedie che girano non sono certo meglio. Non vedo corazzare Potëmkin. Senza quei film non avrei lavorato con Avati, non avrei scritto un libro e soprattutto non sarei così amato dalla gente».
Il libro «Figlio di papà» per fare ammenda? Perché le pesa essere figlio di papà a 63 anni?
«Macché, magari ce lo avessi ancora. Pensi se alla mia età mi guardassi allo specchio e dicessi: “Basta non voglio essere un figlio di papà”. Allora sì che sarei un cretino».
Lei fece anche uno spot si successo interpretando il vigile Persichetti. Ne avrebbe anche voluto fare un film. Poi?
«Sbagliavo. Celentano che aveva i diritti del film di Sordi me lo propose ma non si rifanno i grandi successi. Con il conte Max era un fatto di famiglia, un’altra storia, un omaggio a papà. Non ho voluto fare il vedovo con la Littizzetto che poi ha fatto De Luigi, Amici miei remake andò malissimo. Sono operazioni troppo pericolose».
Suo padre aprì le danze degli Oscar nel ’47 con «Sciuscià». Noi stiamo parlando a poche ore dagli Oscar che vedono Sorrentino candidato.
«Mio padre neanche lì è andato a ritirare gli Oscar che ha voluto. Posso solo dire che sarebbe meraviglioso se Sorrentino vincesse. Un successo per tutto il cinema italiano, farebbe del gran bene. Sciocco chi storce il naso. Sorrentino poi lo stimo moltissimo».