Vittorio Sabadin, La Stampa 3/3/2014, 3 marzo 2014
IL SECOLO DELLA LEICA LA MACCHINA FOTOGRAFICA CHE FECE LA RIVOLUZIONE
Oscar Barnack era un ingegnere dalla salute malferma che nel 1914 lavorava alla Leitz di Wetzlar, in Germania. Aveva l’aspetto di un uomo buono e tranquillo, gli occhi chiari, i baffi curati, la fronte ampia tipica delle persone di genio.
Barnack era un grande appassionato di fotografia, ma il suo fisico non gli permetteva di trascinarsi dietro l’ingombrante e pesante attrezzatura necessaria all’epoca per scattare una foto. Si dice sia nata così la sua ossessione: creare una piccola, leggera e affidabile fotocamera che potesse stare in tasca ed essere usata con facilità.
La inventò nel marzo del 1914, cento anni fa, con la scusa di progettare – come gli era stato richiesto – una piccola macchina che testasse la sensibilità della pellicola cinematografica. La «Ur-Leica» (crasi di Leitz e camera) che presentò era molto di più. Era un prodotto rivoluzionario, che non migliorava qualcosa che già esisteva, ma stabiliva un nuovo standard nella tecnica di ripresa fotografica che viene usato ancora oggi.
La Grande Guerra e le difficoltà economiche della Germania di quegli anni ne rallentarono la commercializzazione, ma nel 1925, per la Fiera di Primavera di Lipsia, erano pronti i primi esemplari. La «Leica I» stabilì come, da allora in avanti e per quasi un secolo fino all’avvento dell’era digitale, dovevano essere scattate le fotografie.
Decise l’impostazione dei comandi, con lo scatto dell’otturatore e l’avanzamento della pellicola a destra, adottò il formato 24x36 della pellicola (chiamato per anni il formato Leica), in un caricatore metallico a prova di luce, che poteva essere cambiato per strada. Le lenti, che erano già il vanto dei cannocchiali Leitz, erano straordinariamente luminose e consentivano di scattare fotografie anche nella penombra.
A Lipsia, i soliti idioti con lo sguardo perennemente rivolto al passato definirono la nuova macchina «un giocattolo da borsetta per signora», senza capire la rivoluzione che stava per cominciare: chiunque avrebbe potuto fotografare con facilità la realtà di strada, documentando gli eventi di tutti i giorni. E i grandi fotografi avrebbero potuto catturare il momento decisivo, l’istantanea che ferma gli avvenimenti mentre accadono, mettendone a nudo l’anima. Nel corso degli anni, la Leica è migliorata in continuazione, ma non è mai cambiata, conservando un look caratteristico e inconfondibile.
Ogni appassionato di fotografia è innamorato della M3, prodotta dal 1954 al 1968. Fu la prima fotocamera dotata di telemetro, che consentiva la messa a fuoco con la sovrapposizione dell’immagine nel mirino di visione, abbreviando il tempo necessario a scattare e ponendo le basi del moderno fotogiornalismo. Introdusse l’attacco a baionetta degli obiettivi, che non è mai più cambiato e consente ancora oggi di usare quelle lenti di mezzo secolo fa famose per la capacità risolvente e un micro contrasto mai più raggiunti nel bianco e nero.
È a questa fotocamera che Steve Jobs pensava quando presentò l’iPhone 4, paragonandolo «a una bellissima vecchia macchina fotografica Leica». Per l’industriale e designer Carlo Alessi la M3 era «un prodotto perfetto del design del XX secolo, impossibile da modificare».
Chi possiede una Leica di quegli anni la custodisce gelosamente. Sono macchine che si amano ancora al tatto, sono piacevoli, arrotondate, hanno una meccanica fluida, lo scatto dolce e silenzioso, con lo snobistico doppio colpo nella leva di avanzamento della pellicola. Funzionano sempre, perché erano costruite per durare.
Il libretto di istruzioni cominciava con le intimidenti parole: «State tenendo nelle vostre mani una Leica», frase che gravava di responsabilità il possessore non solo nel preservare quel capolavoro di ingegneria ottica e meccanica, ma anche nel rispettarne il mito scattando foto all’altezza della sua storia. Se non venivano bene, non si poteva più dare la colpa alla macchina.