Giacomo Galeazzi, La Stampa 3/3/2014, 3 marzo 2014
LE PROMESSE DEI MINISTRI NAUFRAGATE TRA RICORSI BUROCRAZIA E INCHIESTE
È la burocrazia ad uccidere Pompei. «I ritardi fanno più danni del bombardamento alleato del 1943», spiegano alla soprintendenza. In pratica salvare questo colossale patrimonio artistico dell’umanità si configura come una corsa contro il tempo. E gli ostacoli sono dietro ogni angolo. L’Italia, infatti, ha un anno di tempo per impiegare i finanziamenti comunitari, ma per spendere questi soldi (105 milioni di euro) bisogna fare a tempo di record le gare d’appalto.
Il problema, però, è che le ditte che perdono fanno sistematicamente ricorso alla magistratura bloccando così l’assegnazione dei lavori. Quando poi finalmente gli operai delle aziende vincitrici degli appalti riescono a mettere piede nei cantieri arrivano mensilmente i pur necessari controlli della Dia di Napoli contro le infiltrazioni camorristiche nella riqualificazione dell’area archeologica. Alle lungaggini che stoppano le opere si unisce la questione del ribasso del prezzo su base d’asta. Pur di aggiudicarsi i lavori le aziende fanno prezzi stracciati a discapito della qualità e delle effettive realizzazioni. «Sull’appalto della Casa del Criptoportico, assieme a quello sulla Casa dei Dioscuri e della Casa di Sirico, è stata aperta un’indagine della procura : i tre lavori di restauro sono stati aggiudicati tutti con ribassi superiori al 50%», spiega il presidente dell’Osservatorio patrimonio culturale, Antonio Irlando.
Insomma nel disastro infinito del sito più celebre del mondo si sommano i ritardi che sono la conseguenza inevitabile di ricorsi, verifiche, iniziative giudiziarie. Tutto ciò mentre incombe la mannaia europea per i fondi stanziati e non spesi. In pratica dei 105 milioni di euro destinati a Pompei dall’Ue, finora ne sono stati spesi o impegnati solo un terzo e Bruxelles minaccia di riprendersi gli altri. «Sono fondi che devono essere spesi entro il 2015 oppure li perdiamo: sono state fatte 16 gare fino ad oggi e altre otto sono in corso», precisano i tecnici della soprintendenza. Come se non bastasse, con un tempismo che sembra una beffa del destino, venerdì, poche ore prima dei nuovi crolli, si erano conclusi i lavori del primo dei cinque cantieri del «Grande Progetto Pompei», quello per la domus del Criptoportico. Il degrado del sito archeologico ha costituito una delle maggiori preoccupazioni dei ministri dei Beni Culturali che si sono avvicendati negli ultimi governi. Cambiano i ministri, ma i crolli non si arrestano. Un’eterna «staffetta» tra politici e tecnici, scandita da cedimenti e ritardi.
A partire da Sandro Bondi, sotto il cui mandato si sono verificati i crolli più importanti, fino a Massimo Bray. E lo stesso Dario Franceschini, ad appena una settimana dal suo insediamento, deve già fare già i conti con nuovi danni nella città romana sommersa dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C, dal 1997 patrimonio dell’umanità Unesco. Il primo campanello d’allarme arriva il 6 novembre 2010, quando la Domus dei Gladiatori si sbriciola sotto il peso di un tetto in cemento armato e per le infiltrazioni d’acqua. Secondo Bondi la questione non sono le risorse, ma il modo in cui sono gestite: chiama in causa i sovrintendenti, che per tutta risposta gli ricordano i pesanti tagli al settore. Allora Bondi propone un piano straordinario per la manutenzione con il ritorno di una soprintendenza autonoma con poteri più incisivi.
Nel marzo 2011 Galan promette un piano di manutenzione programmata che punti anche sul coinvolgimento di sponsor e che sfrutti i fondi europei. La Commissione Ue approva un piano per 105 milioni di euro. I lavori per restaurare le cinque Domus del sito iniziano a febbraio 2013. In aprile è il turno del governo Letta. Bray, che va in visita privata a Pompei in Circumvesuviana, promette: «Mai più un caso Pompei». E istituisce una soprintendenza speciale con Ercolano e Stabia. Ruolo per il quale viene nominato Massimo Osanna. Riapre dopo un anno di restauri la Casa degli Amorini Dorati, una delle più famose del sito, registrando il boom di visite. Poi però arriva l’altolà dell’Unesco: carenze strutturali. Il governo ha tempo fino al 31 dicembre per adottare misure idonee. Spunta anche l’ombra della camorra e la Dia ispeziona i cantieri contro il rischio di infiltrazioni mafiose. Intanto, la pioggia e l’incuria continuano a flagellare i resti romani, provocando nuovi cedimenti, fino ad oggi. La «patata bollente», adesso, è nelle mani del neoministro Franceschini.