Erica Dellapasqua, Il Tempo 3/3/2014, 3 marzo 2014
GLI IMMOBILI DEI CLAN «REGALATI» AL DEGRADO
Almeno la metà dei beni tolti alle mafie viene lasciata marcire. La torta c’è e si potrebbe anche spartire, invece Roma, terza città d’Italia per numero delle confische di beni e seconda con Milano per quelle di aziende, a 18 anni dall’entrata in vigore della legge 109/96 sul riutilizzo sociale di questi beni è ancora ferma alla fase di elaborazione di nuove regole per far fruttare il patrimonio. Un «tesoro» che, ha ricordato in scadenza di mandato il direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata prefetto Giuseppe Caruso, «a livello nazionale può valere tranquillamente una manovra finanziaria». Il buon esempio non arriva da Roma e provincia, dove un terzo, se non la metà delle proprietà restano vuote, inutilizzate quindi sprecate come in via di Ripetta, occupate dagli stessi boss mai cacciati a Torre Gaia oppure imbrigliate da una burocrazia più insidiosa della mafia che imporrà investimenti stellari per ristrutturazioni tardive. Riparte dall’«anno zero» anche la Regione Lazio, dopo l’azzeramento dell’Abecol, agenzia laziale per i beni confiscati alle mafie recentemente reputata «inattiva» e quindi «non giustificabile» dalla Corte dei Conti.
Gli ultimi dati dell’Agenzia nazionale, fermi al 7 gennaio 2013, raccontano che complessivamente nel Lazio si localizzano 645 beni confiscati tra immobili e aziende. Su un totale di 505 immobili, 174 sono rimasti in gestione all’Agenzia, 264 consegnati e riutilizzati dai vari enti o realtà istituzionali. Passando alle 140 aziende, 82 risultano ancora in capo all’Agenzia e 58 uscite dalla gestione, destinate a vendita, liquidazione, procedura di fallimento o, in pochissimi casi, affidate a cooperative costituite dai lavoratori. La metà degli immobili non sono stati riassegnati, poi, nel perimetro della provincia di Roma, che fa i conti con 107 proprietà rimaste «nella disponibilità» dell’Agenzia nazionale a fronte delle 197 destinate e consegnate. Anche per quanto riguarda il perimetro del Comune capitolino il bilancio non è soddisfacente: su un totale di 225 immobili, quelli destinati e consegnati si fermano a quota 130, nelle mani dell’Agenzia ce ne sono ancora 55, altri 17 sono stati iscritti alla voce «destinati non consegnati», vedi beni occupati o gravati da ipoteche, concludendo con le aziende (110 confische) per le 53 uscite dalla gestione dell’Agenzia ne restano 57 sotto la sua responsabilità. Che poi assegnazione non sempre è sinonimo di riutilizzo. Ora, è evidente, scorrendo i bilanci già vecchi – gennaio 2013 appunto - dell’Agenzia nazionale, la «doppia velocità» su cui marciano da un lato la Procura di Roma diretta da Pignatone (che ha messo il turbo più che raddoppiando il numero di operazioni e quindi di sequestri), dall’altro l’Agenzia e, a cascata, le amministrazioni locali, che in assenza di un sistema informatico operativo, criteri certi di assegnazione o controlli effettivi sul campo navigano a vista nonostante il patrimonio accumulato valga ormai miliardi.
I problemi sono tanti e neanche nuovi. Solo per citarne alcuni, approfonditi anche nel recente rapporto della Commissione Garofoli, che si propone di riformare l’Agenzia, Caruso ha più volte lamentato la carenza di organico (84 persone per un totale di 12.946 beni su scala nazionale giunti a sequestro in via definitiva), la mancata attivazione del sistema di comunicazione telematica, il fatto che – per quanto riguarda gli immobili – si presentano criticità nell’85% dei casi (ipoteche accese con le banche, permanenza dello stesso mafioso nei casi in cui il giudice abbia ordinato i domiciliari in quella dimora), assenza di adeguate forme di pubblicità dell’elenco degli spazi disponibili e, non meno importante, i tempi biblici che trascorrono tra sequestro e confisca, in media 7 anni che determinano, troppo spesso, il deperimento del bene: indicativo a questo proposito è il caso degli stabilimenti cinematografici De Paolis sulla Tiburtina, sequestrati nel 1994 a Enrico Nicoletti (Banda della Magliana) e assegnati solo nel 2013. In questo quadro si inserisce il protocollo che Comune e Regione sottoscriveranno col Tribunale di Roma e che coinvolgerà altri soggetti a partire da Procura e Corte d’Appello, novità sostanziale il tentativo di «recuperare» il bene già in fase di sequestro, senza attendere la confisca. Il dipartimento Patrimonio attiverà poi controlli sulle proprietà già consegnate alle varie associazioni e bandi per l’assegnazione dei beni che saranno acquisiti.