Mac Mcclelland, Rolling Stone marzo 2014, 3 marzo 2014
LA REGINA FINALMENTE È NUDA
Il primo impatto è abbastanza scioccante. Non che il volto di RuPaul senza trucco non sia bello, o che la sua pelle cosparsa di lentiggini non sia impeccabile. In un certo senso è anche meglio, è un aspetto più invitante, nella sua sincerità, dell’immagine da diva che ha fatto di lui la drag queen più famosa del mondo. Ma è comunque una riduzione di tono. La sua testa luccicante sembra più piccola senza quella massa di boccoli biondi sintetici. «Potrei anche non travestirmi più», la butta lì. «Non è cosi importante per me, non lo è mai stato».
Oggi indossa un completo di tela crespa a strisce, rosso Borgogna su crema, con tre bottoni aperti a scoprire il petto liscio. Ultimamente si veste così: «Adooooooooooro gli abiti», dice. E non è certo il cambiamento più importante nella sua vita.
Se ci fossimo incontrati nel periodo dell’ascesa al successo, RuPaul avrebbe bevuto, avrebbe fumato, ci sarebbe stata almeno una probabilità su dieci che si sarebbe preso un acido e sicuramente avrebbe avuto con sé un sacco di erba. Il musicista-uomo immagine-autore-travestito-superstar è stato un fumatore di marijuana incallito dai 10 ai 39 anni. E poi, certo, questo enorme uomo nero sballato alto un metro e 93 sarebbe stato vestito da donna. Il RuPaul in abito che entra nel suo café preferito di West Hollywood alle 7 del mattino di un venerdì qualunque è completamente diverso. E in piedi da diverse ore, ma non nel senso che ha passato la notte in un club e non è mai andato a letto, bensì più in modalità “vado a dormire quando c’è ancora luce, come un neonato”. Di solito deve aspettare che apra la palestra, alle 5, mentre il gruppo di meditazione o la camminata mattutina iniziano alle 6.30. Il RuPaul che avete conosciuto negli anni ‘90, quello che intervistava Cher e duettava con Elton John non compariva mai in pubblico nei panni di un uomo.
Il Ru di oggi (adesso si fa chiamare così), invece, si presenta senza parrucca e senza travestimento e mette sul piatto un misto di educazione e di serietà, e non la butta troppo sul ridere, come quando una commessa gli dice che le piacerebbe vederlo ancora vestito da donna e lui risponde, cordialmente, ma senza sorridere: «Quello costa».
Sbattersi nei panni di una drag queen è un compito che oggi spetta soprattutto ai giovani e affamati concorrenti del suo show televisivo, RuPaul’s Drag Pace (in Italia va in onda con il titolo di America’s Next Drag Queen su Fox Life HD, canale 114 di Sky). Il format è scontato: un gruppo di ragazzi si sfida per diventare “il prossimo supertravestito d’America”, come sussurra RuPaul dalla sua postazione di giurato. Devono dimostrare di avere carisma, originalità, talento e coraggio e lo fanno con la massima sincerità. In una puntata, un ragazzo appena uscito di prigione arriva alla finale, ma viene eliminato, scoppia a piangere e dice a RuPaul che gli ha cambiato la vita. La puntata va avanti, l’ospite Rose McGowan scoppia anche lei a piangere, e alla fine anche tu che guardi non riesci a trattenere le lacrime. «Oggi sono molto più grande di quando sono arrivato al successo, anni fa», dice RuPaul. A 52 anni si sente pienamente realizzato. Nel quartiere popolare di San Diego in cui è cresciuto negli anni ’60 insieme alle sue tre sorelle, tutti avevano capito il suo orientamento sessuale ancora prima che lui si rendesse conto di cosa fosse la sessualità. Ma non era solo questo a renderlo diverso dagli altri. E non era nemmeno l’unico a essere convinto che il destino gli avesse riservato qualcosa: «Diventerà una star», proclamò sua madre dopo avergli dato il nome di RuPaulAndre Charles, «perché non c’è nessun altro bastardo in giro con un nome così».
Comincia a travestirsi fin da bambino, se non altro per attirare l’attenzione del padre, un uomo superficiale e donnaiolo: «Non è stato un caso che io sia diventata la ragazza più bella di tutte». A 15 anni RuPaul decide di lasciare la famiglia, si trasferisce ad Atlanta con una delle sue sorelle e si iscrive a una scuola di recitazione. La molla quasi subito, si mette a vendere auto usate e fuma allarmanti quantità di erba. Quando compie 21 anni, decide che è arrivato il momento di fare quello che ha sempre pensato di fare: diventare famoso. «Sapevo di avere personalità, l’unica cosa è che non sapevo quali fossero il mio linguaggio e il mio palcoscenico». Comincia facendo di tutto: suona in una punk band chiamata Wee Wee Pole, conduce un talk show di politica e cultura gay su una tv via cavo di Atlanta, balla per soldi, diventa famoso come vocalist alle feste, dove si presenta vestito alla Mad Max o Rocky Horror Picture Show. È famoso ad Atlanta, ma non è abbastanza famoso, quindi si trasferisce a New York. «Mi ricordo la notte di Capodanno del 1987. Lavoravo al guardaroba dell’Hotel Amazon a Rivington Street e pensavo: “Ecco qua, la superstar RuPaul fa la guardarobiera!”».
Finisce a vivere a Los Angeles. Ha 29 anni, non ha una casa e non ha un lavoro e, dopo anni passati a farsi canne, bere e prendere acidi ogni weekend, pensa addirittura al suicidio. Ma guarda tutte le puntate di Oprah, e Oprah gli dice di non mollare. Nel gennaio del 1989 torna a New York, pronto a fare qualsiasi cosa. Travestitismo puro, trasformazione. Deve rasarsi tutto il corpo, schiacciare i testicoli dentro la cavità pelvica? Va bene: «Travestirsi era un atto di protesta. La gente ha cominciato a relazionarsi con me come non era mai successo prima». In poco tempo diventa la “Regina” di Manhattan. Quando viene cacciato via dal set di un video di Robert Palmer perché è ubriaco e strafatto di Quaalude, decide che è ora di ripulirsi. Registra una demo, firma un contratto con la Tommy Boy Records e nel 1992 esce con Supermodel (You Better Work), che diventa una hit mondiale. Conduce uno show radiofonico, è sempre in tour, diventa testimonial di una linea di cosmetici. Un tempismo impeccabile: alla Casa Bianca c’è il presidente Bill Clinton, il mondo è pronto per il primo travestito superstar e Ru è felice di fare una performance sovversiva: «Travestirsi da donna in una società dominata dagli uomini è un atto di tradimento. E la cosa più punk che puoi fare». Poi, intorno al 2000, sparisce di colpo. In parte è esausto, in parte capisce che l’elezione di George W. Bush ha reso la nazione più intollerante. Più omofoba: «Dopo l’11 settembre il Paese è stato invaso dalla paura, e tutto quello che aveva a che fare con la sessualità è finito nell’underground. E io ho deciso di sparire dalle scene». E così, arrivi a 40 anni e sei praticamente in pensione. Vai dallo psicologo. Piangi ogni giorno per tua madre, che è morta di cancro poco dopo aver visto avverarsi le sue previsioni su di te. Scopri che quello che ti spinge e quello che ami davvero è soprattutto essere creativo. Devi solo capire come farlo. E alla fine scopri che la scelta migliore è condurre un reality show, che va in onda la prima volta nel 2009. Sul set della sesta stagione di Drag Race, RuPaul indossa un abito rosa cipria. Nella tasca interna c’è scritto: “Nasci nudo”, e nel risvolto del colletto: “E il resto è un travestimento”.
Oggi non ha la stessa passione di un tempo, ma è ancora convinto del grande potere del travestimento: «La realizzazione della tua follia è l’inizio della tua sanità mentale». Ci vogliono sei ore per trasformare Ru in RuPauI. «Ho detto al mio psichiatra che un tempo, quando mi travestivo mi sentivo come Superman. L’unica differenza è che adesso i superpoteri ce li ho sempre». RuPaul sa che oggi non sta sfilando nell’era dorata della tolleranza. Obama fa parte di una fase in cui «il pendolo oscilla a sinistra», ma sa bene che prima o poi il pendolo toma dall’altra parte. È stupito del fatto che Drag Race sia arrivato alla sesta edizione? «No. Andrà avanti finché non ne potremo più», dice, «oppure fino a quando i Repubblicani non torneranno al potere».