Michele Primi, Rolling Stone marzo 2014, 3 marzo 2014
IL DURO DEL CALCIO HA UN CUORE DA FAN
Quest’uomo ha un problema. Ha realizzato tutti i sogni, suoi e di molti italiani. Ha vinto la Coppa del Mondo con la maglia della Nazionale, ha segnato un gol in finale contro la Francia, di testa su calcio d’angolo. Ha anche messo dentro uno dei rigori nella drammatica lotteria finale, implacabile. Tutto questo dopo aver vinto scudetti, terrorizzato avversari, incendiato i tifosi (della sua squadra e anche delle altre) ed essere entrato nella storia del calcio italiano come Matrix il cattivo (solo sul campo, però, fuori è gentilissimo). Ma Marco Materazzi non è contento. Gli manca qualcosa. Una dedica di Michael Jordan.
È una specie di ossessione: in campo Matrix portava la maglia numero 23, il numero del più grande giocatore di basket di tutti i tempi, si è sposato il giorno 23 con Daniela, ha avuto un figlio il giorno 23 e, quando ha smesso di giocare a calcio, ha aperto a Milano – insieme all’amico Stefano Mancinelli, capitano della nazionale italiana di basket – un negozio di sneaker e sportwear da collezione che si chiama Space23. «Io sono per Jordan, sempre e comunque», dice. Sul braccio destro si è anche fatto tatuare (vedi a pag. 100, ndr) una serie di Air Jordan I, le prime leggendarie scarpe firmate MJ lanciate dalla Nike nel 1985, quelle che Jordan indossò nella sua prima stagione NBA, facendo una media di quasi 30 punti a partita e guadagnandosi l’All Star Game e il titolo di Rookie of the Year (e prendendo anche 5mila dollari di multa per violazione delle regole sull’abbigliamento ogni volta che indossava quelle rosse e nere). Sul braccio, in mezzo alle scarpe, Materazzi ha lasciato uno spazio per la dedica: «Una volta l’ho incontrato», racconta, «abbiamo fatto la foto insieme, io sognavo di farmi firmare una canottiera, ma mi avevano detto che bisognava chiedere il permesso, che. non sarebbe stato facile e non me l’ero portata dietro. E invece la prima cosa che mi ha chiesto lui è stata: “Cosa vuoi che ti firmi?”. E io: “Non ho niente”. Volevo ammazzare tutti». Ma tu gli hai detto che eri un campione del mondo? «Lo sapeva. Anche perché era appena successo».
Materazzi si è fatto guidare dalla passione per Jordan anche quando la Nike gli ha chiesto di collaborare alla creazione di un’edizione limitata di Tiempo ‘94 ispirata alla prima scarpa da calcio creata dal brand americano, che esce in due modelli: Nike Tiempo Legend V per il campo e Nike Tiempo ‘94 OG per il tempo libero (vedi a pag. 110, ndr). «E stata un’occasione unica per mettere insieme tutto quello che mi piace: calcio e basket», spiega Marco. «Ho scelto di usare i colori della maglia di Michael Jordan». La storia della Tiempo inizia in un giorno speciale e amaro: 17 luglio 1994, finale dei Mondiali americani a Pasadena, Italia contro Brasile, io giocatori scendono in campo indossando le Nike Tiempo Premier. «Mi ricordo bene quel giorno, ero in vacanza in Olanda, incollato davanti alla tv. Purtroppo per noi è andata male, abbiamo perso ai rigori, ma è stata comunque una partita leggendaria. Dopo 20 anni mi ritrovo a essere testimonial della stessa scarpa indossata dai giocatori in quella finale, ma da campione del mondo. Se mi guardo indietro, diciamo che vedo una bella strada».
Marco Materazzi oggi ha 40 anni, 3 figli e non gioca dal 20 giugno 2011. Ha lasciato dopo una carriera da professionista lunga 21 anni (di cui io all’Inter) in cui ha segnato 57 gol e ha vinto 15 trofei. Più il Mondiale del 2006. Il Times lo ha messo nella lista dei 50 giocatori più tosti di tutti i tempi, Andriy Shevchenko forse se lo sogna ancora di notte, per i tifosi dell’Inter è un idolo, per gli altri un indimenticabile nemico. «Non ho mai giocato contro Leo Messi e Cristiano Ronaldo, e quando mi sono trovato davanti Ronaldo, quello vero, era al Milan e non era la stessa cosa. Sennò sarebbe stata dura. Diciamo che ho avuto un gran culo». Poteva fare quello che voleva, e ha deciso di aprire un negozio di abbigliamento sportivo e sneaker da collezione: «Lo sanno tutti, è sempre stata la mia grande passione. Pensa che, anche se sono da anni un testimonial della Nike, ogni volta che vado in America spendo tutti i soldi in scarpe. Mi sa che sono l’unico. Lo faccio anche solo per averle un mese prima che arrivino in Italia. Questo ti fa capire quanto sono malato». E dove le tieni? «Tra casa mia e il garage. Il mio pezzo più pregiato è l’edizione Defining Moments Package delle Air Jordan II, quelle indossate da Michael quando è tornato a giocare nel 1996. Sono in una scatola dorata, bellissima! Ma ho anche quelle brutte, ogni tanto apro le vecchie scatole e dico: mamma, che orrore! Però anche quelle fanno parte dell’evoluzione». Nella sua nuova vita da imprenditore. Marco Materazzi ha scelto la cultura dell’abbigliamento, da portare avanti in uno spazio tutto suo, dove la ricerca della perfezione e del business a tutti i costi non conta: «Non mi piace l’idea di un negozio dove entri e compri qualcosa solo per moda. Io preferisco che chi viene da Space23 abbia voglia di sentirsi raccontare una storia». Quella delle scarpe di due numeri diversi indossate da Jordan quando aveva un piede rotto («A proposito, lui aveva il 46 e mezzo, io il 46», sottolinea Marco), quella dei nuovi eroi come Kobe Bryant, Kevin Durant e LeBron James. «Non è importante cosa porti, ma come lo porti». Un po’ come lui indossava la maglia da calcio e l’espressione da duro: «Ho un difetto: non voglio perdere, nemmeno nella partita a calcetto con gli amici. Forse è stata la mia forza».
Intanto c’è il prossimo Mondiale, in cui Marco Materazzi sogna uno scherzetto a Brasile e Argentina. Matrix ha già scelto il suo erede: «Leonardo Bonucci». Per il lancio lungo? «No, perché ha due palle così», ma sa che non sarà facile essere dimenticato: «Sono un giocatore che ha sempre detto quello che pensava, a costo di farmi dei nemici. In fondo, devo ringraziare tutti quanti per avermi sopportato. Ma una cosa la voglio dire, se fossi un tifoso di una squadra avversaria, oggi direi: “Cavolo, Materazzi mi manca!”».