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 2014  marzo 02 Domenica calendario

INTERVISTA A FRANCO ABRUZZO


Franco Abruzzo è giornalista da 51 anni. Da giovane a Roma s’era iscritto a giurisprudenza, poi ha deviato laureandosi con 110 e lode alla Statale di Milano in scienze politiche. Nel corso della sua vita ha analizzato per lavoro oltre 100.000 sentenze: di pretura, di tribunale, di Corte d’assise, di Corte d’appello, della Corte di cassazione, della Corte dei conti, della Corte costituzionale. Te le cita per numero, anno, commi, paragrafi, giudice estensore, presidente. Se gli chiedi che tempo fa, non guarda fuori dalla finestra: cerca conforto in un verdetto della Corte suprema. «Deformazione professionale. Ero specializzato in cronaca giudiziaria. A quei tempi, se sbagliavi una sola virgola, i magistrati ti toglievano il saluto e addio notizie. In più sono originario di Cosenza, quindi ho la deviazione mentale tipica dei terroni: per noi tutto è legge, politica ed economia comprese. Infatti la legge finanziaria, oggi legge di stabilità, non diventa forse una volta l’anno il punto più alto della politica?».
Nato meno di un mese prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Abruzzo ha subito indossato l’elmetto e da allora non se l’è più tolto. Dopo una vita trascorsa a sanzionare i colleghi indisciplinati con avvertimenti, censure, sospensioni dall’esercizio della professione e radiazioni dall’albo, irrogati per 18 anni consecutivi nella sua veste di presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia (il più folto d’Italia, 26.000 iscritti), adesso ha deciso di vestire i panni del difensore d’ufficio dell’unica categoria che supera i pennivendoli nella classifica del disprezzo: quella dei pensionati d’oro. «Un’impostura semantica odiosa inventata dai mass media, cioè dalla nostra stessa categoria», non si dà pace, «perché tenta di far passare per ladri e affamatori del popolo uno sparuto gruppetto di onesti cittadini che si limitano a riscuotere ogni mese i frutti dei loro sudatissimi contributi, versati per anni e anni ai rispettivi istituti di previdenza».
Eletto presidente della neonata Unpit (Unione nazionale pensionati per l’Italia), il giornalista ha subito potuto toccare con mano l’odio sociale che circonda l’aureo ceto cui, a torto o a ragione, appartiene: «La settimana scorsa il mio sito è stato bloccato per tre volte dagli hacker. Ormai accade un giorno sì e uno no. A Capodanno una mail fasulla ha fatto credere ai 73.150 iscritti della mia mailing list che mi trovassi in vacanza negli Emirati arabi uniti e che fossi stato derubato di passaporto e carte di credito. I pirati informatici chiedevano l’invio tramite Western Union di soldi che mi sarebbero serviti per pagarmi l’hotel. In realtà non mi ero mai mosso dalla mia casa di Sesto San Giovanni».
Per fermare la caccia all’untore, l’Unpit ha lanciato una petizione sul Web in difesa delle pensioni d’oro scaturite da contributi di platino. In pochi giorni sono state raccolte oltre un migliaio di firme. «Di più non servono: a Giuseppe Garibaldi bastarono i Mille per fare l’Italia. Sono nato nelle terre bagnate dal sangue dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera e cresciuto ascoltando i racconti dei reduci della Grande guerra. Alle elementari avevo per compagno di banco un profugo istriano, Enzo, la cui famiglia era fuggita da Pola. Un giorno andammo in gita scolastica a Paola e lui, vedendo il mare, scoppiò a piangere: credeva che fosse il suo Adriatico. Ecco, la mia coscienza nazionale nacque quel giorno. Non prenderei mai le difese di un italiano contro un altro italiano».
Abruzzo è diventato giornalista intorno ai 10 anni, divorando la corposa mazzetta di quotidiani che il padre Vincenzo, capufficio alle Poste, riceveva in omaggio e portava a casa ogni sera. «Leggevo tutto, ma non capivo nulla». Poi le prime corrispondenze da Cosenza per Il Tempo di Roma: «Finii in prima pagina con l’alluvione del 1959. Gli stivaloni non bastarono: l’acqua mi arrivava al petto». Tre anni dopo giunse a Milano al volante di una Fiat 600 che avrebbe pagato a rate. Pochi mesi dopo entrò al Sole, non ancora fuso con il 24 ore, per una sostituzione estiva. Solo nel 1967 ottenne un’assunzione vera, al Giorno: «Sono stato il primo praticante d’ufficio d’Italia. Esibii a Carlo De Martino, presidente dell’Ordine, 500 articoli con la mia firma. Dovette prendere atto che facevo il giornalista abusivo almeno dal 1961». Infine l’approdo nel 1983 al Sole 24 Ore, dov’è stato caporedattore centrale dal 1992 al 2001. L’anno della pensione. «L’anno d’inizio dei miei incubi».
Ha gli incubi?
«Certo. Di notte, nel sonno, mi vedo come un clochard, con la barba lunga, mentre giro per le vie di Atene».
Non starà esagerando?
«Non direi. Un alto funzionario greco, che riscuoteva 4.700 euro di pensione al mese, ora ne percepisce 1.200. Oltre ai tagli già introdotti dagli ultimi governi, alle Camere giacciono sei proposte di legge e sette mozioni per falcidiare le pensioni. Esclusa Forza Italia, non c’è partito che non punti a ridurci in bolletta».
Come si spiega tanto accanimento?
«I pensionati sono diventati il Bancomat del governo. A partire dal 2008, i politici hanno applicato la battuta di Ettore Petrolini: “A chi le tasse? Ai poveri, che sono tanti”. A chi succhiare quattrini per ripianare il deficit statale? Ai pensionati, che sono tanti: 16,8 milioni. Con l’aggravante che vivono per conto loro, isolati. Non esiste la fabbrica dei pensionati. Non hanno rappresentanza. Puoi rapinarli: tanto, sono disarmati».
E lei ha deciso di difenderli.
«Non solo io. Nell’Unpit ci sono prefetti, magistrati, medici, manager, avvocati, ufficiali delle forze armate, alti dirigenti dello Stato. E giornalisti, ovviamente».
Se ci sono i giudici, vittoria garantita.
«Fra i soci abbiamo un ex procuratore generale della Cassazione e un ex presidente della Corte dei conti, che prende una pensione calcolata solo su 40 anni pur avendo lavorato per 55, perché il metodo retributivo stabilisce così».
Ma quanti sono i pensionati d’oro?
«Pochissimi: 38.000. Mia moglie, vicentina della Valdastico, ha commentato con il buonsenso tipico dei veneti: “Non sapevo di aver sposato un ricco”. Quel complemento di specificazione, “d’oro”, va cancellato. Siamo pensionati e basta. Vogliamo fare il mio caso?».
Facciamolo.
«Ho versato per 40 anni contributi che ammontavano al 30-33% dello stipendio lordo. In busta paga negli ultimi tempi ricevevo 9,7 milioni di lire netti per 13,5 mensilità, perciò il mio stipendio lordo era di 230 milioni di lire l’anno, senza contare gli oneri aziendali. Ogni anno lasciavo nelle casse dell’Inpgi, l’Istituto nazionale previdenza giornalisti italiani che oggi mi eroga la pensione, oltre 5 milioni di lire al mese. Non bastano?».
Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, pensa di no.
«Grazie alla nostra rivolta, la Meloni ha perso. Voleva abolire i trattamenti superiori di 10 volte al minimo dell’Inps, quindi 5.000 euro lordi, cioè 3.200 netti al mese. Un disegno di legge demenziale e demagogico che è stato bocciato perfino dalla sinistra. Ma dove ha studiato questa ragazza? A me all’università hanno insegnato che le leggi regolano il futuro, non il passato. Lo Stato ha una moralità sì o no? Come fa a rimangiarsi le pensioni pattuite in precedenza? Persino Matteo Renzi, che era partito lancia in resta con l’idea dell’esproprio proletario, dopo aver letto le nostre obiezioni ha invertito la rotta di 180 gradi».
Forse la Meloni voleva che vi fosse proporzione tra versamenti effettuati e pensioni corrisposte.
«D’accordissimo. Dev’essere ben chiaro un punto: noi difendiamo esclusivamente le pensioni costruite sul lavoro, che sono il 97%. Non quelle regalate».
E quali sarebbero quelle regalate?
«Per esempio le pensioni che 509 ex boiardi di Stato incassano grazie a leggi e leggine che si sono fatti approvare ad hoc. Sto parlando di assegni indecenti, che vanno da 20.000 a 91.000 euro mensili. Ripeto: mensili».
Oltre 1 milione di euro l’anno?
«Esatto. Quelle sono le pensioni d’oro. Anzi, le pensioni rubate, perché totalmente disancorate da versamenti effettivi. E si possono cancellare domattina, basta solo che il Parlamento lo voglia. Un ex presidente della Corte costituzionale mi ha detto: “Hai ragione”. Idem le pensioni ai funzionari di partito. Siccome le forze politiche non versavano i contributi previdenziali per i loro dipendenti, con la legge Mosca hanno avuto la bella pensata di accollare allo Stato i vitalizi».
Che tagli subiscono le pensioni d’oro?
«Bisogna distinguere tre periodi. Il ministro Giulio Tremonti nel 2011 fissò, a seconda degli scaglioni di reddito, tagli del 5%, del 10% e del 15%, bocciati come illegittimi nel 2013 dalla sentenza 116 della Corte costituzionale: devono restituirci il maltolto. Mario Monti nel 2012 e nel 2013 ci ha negato la perequazione: abbiamo trascinato anche lui davanti alla Corte costituzionale e siamo in attesa di sentenza. Enrico Letta tre anni fa aveva firmato un progetto per togliere i vitalizi agli ex parlamentari, che costano 13 milioni di euro al mese: mai varato. In compenso, con la legge di stabilità 2014, ha rimesso il prelievo sulle nostre pensioni: 6% oltre i 90.000 euro lordi l’anno, 12% oltre i 120.000 e 18% oltre i 150.000. Inutilmente il presidente della Repubblica ha avvertito la Camera che questo provvedimento, già bocciato dalla Consulta, costituiva un oltraggio ai giudici costituzionali. Vorrà dire che il governo dovrà ridarci anche questi soldi: stiamo preparando una trentina di ricorsi».
Però la crisi impone qualche sacrificio perché l’Italia non affondi.
«E lo dice ad Abruzzo, vecchio cristiano socialista cresciuto prima nell’Azione cattolica e poi alla scuola di Walter Tobagi? Vuole che non sappia che il cristianesimo può andare d’accordo con un’unica idea politica, il socialismo democratico, come ha scritto Benedetto XVI, anche se nessuno l’ha letto? Per me la Costituzione è un testo religioso. Ho ben presenti i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” sanciti dall’articolo 2. Ma non dimentico l’articolo 3: “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge”. C’è da pagare? Paghiamo insieme, lavoratori attivi compresi».
A chi vanno i prelievi sulle pensioni d’oro che d’oro non sono?
«Nel caso dei giornalisti, all’Inpgi. Nel caso dell’Inps, agli esodati. Ma se ti prendo dei soldi destinandoli a una spesa pubblica, quello diventa un tributo: sentenza 304 del 2013 della Corte costituzionale. E un tributo è per sua natura universale. Non deve scucirlo solo Abruzzo».
In che modo si può uscirne?
«Fra tasse, multe, contributi previdenziali e imposte varie, lo Stato ha emesso cartelle per 737 miliardi di euro, ma riesce a incassarne appena 69. Ogni anno l’Irpef evasa ammonta a 180 miliardi e l’Iva a 100, fonte Banca d’Italia. Il sommerso da solo vale 400 miliardi: se entrasse nel Pil, il debito pubblico scenderebbe dal 133% al 97% e diventeremmo la seconda potenza d’Europa dopo la Germania. Serve la legge “Manette agli evasori”, sul modello statunitense».
Nessuno parla dei baby pensionati.
«Perché sono tantissimi, circa 1 milione. E votano. Che cosa vuole che importi ai politici se, grazie alla legge voluta 40 anni fa da Mariano Rumor, ci costano 7,5 miliardi di euro l’anno? So di professoresse andate a riposo a 35 anni. Le dovremo mantenere, data l’aspettativa media di vita, per oltre mezzo secolo. Quando invece è noto che qualsiasi istituto previdenziale può coprire, con i versamenti ricevuti, non più di 11 anni di pensione».
In linea teorica lei ha già perso da un biennio il diritto al vitalizio.
«Negli ultimi quattro anni 2.400 giornalisti sono passati dallo sportello versamenti allo sportello incassi. La carta stampata va male, gli stati di crisi aumentano, le nuove assunzioni scarseggiano, i contributi si assottigliano. La vedo dura anche per lei».
Un giovane non deve più fare il giornalista?
«Se la spinta ideale è forte, sì. Però a chi mi chiede un consiglio dico di cercarsi un altro lavoro».
Chi ha ucciso i giornali?
«Internet, mi verrebbe da dire. Oggi i lettori s’informano lì, non sulla carta, vogliono tutto gratis. In realtà li abbiamo ammazzati noi».
Come?
«Smettendo di dire la verità. E trasformando le redazioni in burocrazie pletoriche. Dino Buzzati fece grande La Domenica del Corriere accontentandosi dei gradi di caporedattore e avendo a disposizione solo cinque giornalisti, che impaginavano i servizi di collaboratori esterni pagati un tot a pezzo. Nel 1964 arrivò come direttore Guglielmo Zucconi che assunse 50 redattori. Oggi non ci sono più né loro né La Domenica».
Stefano Lorenzetto


LORENZETTO Stefano. 57 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: Hic sunt leones (Marsilio).


LORENZETTO Stefano. 57 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Tredici libri: La versione di Tosi e Hic sunt leones i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.