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 2014  marzo 01 Sabato calendario

Sorgenia, la società energetica dell’Ingegnere Carlo De Benedetti, se nulla cambia, ha tre settimane di vita

Sorgenia, la società energetica dell’Ingegnere Carlo De Benedetti, se nulla cambia, ha tre settimane di vita. I debiti sono arrivati a 1 miliardo e 860 milioni e le banche hanno detto basta [1]. Nella cassaforte di famiglia si lavora pancia a terra per tamponare la prima importante crisi industriale da quando il fondatore, Carlo De Bendetti, ha lasciato l’incarico di presidenza al figlio Rodolfo un anno e mezzo fa [2]. La compagnia energetica Sorgenia, di cui la conglomerata debenedettiana Compagnie Industriali Riunite (Cir) è l’azionista di maggioranza, è in crisi di liquidità e nel corso degli ultimi quattro anni ha accumulato debiti per quasi due miliardi verso venti banche, tra cui le sette principali del Paese (Monte dei Paschi, esposta per 600 milioni e anche azionista Sorgenia, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi, Bmp, Banco Popolare e Mediobanca) [2]. Nel piano industriale presentato lo scorso dicembre, per garantire la continuità aziendale, Sorgenia ha chiesto alle banche lo stralcio di 600 milioni di debiti. Adesso si discute come arrivare a questa cifra. Le banche vorrebbero un aumento di capitale da 300 milioni, mentre la Cir è disposta a spendere soltanto 100 milioni senza rilasciare garanzie per la sua controllata. Una possibile intesa si sarebbe potuta raggiungere a quota 200, ma il socio austriaco Verbund si è sfilato dalla partita rendendola impraticabile [3]. Le banche fanno ovviamente resistenza ad accettare di tagliare il debito (e dunque di portarsi a casa la perdita) per 500 milioni, specialmente mentre si preparano agli esami della Bce sui bilanci. Inoltre sostengono che l’azionista Cir abbia cassa sufficiente per fare la sua parte, avendo incamerato 330 milioni netti dal Lodo Mondadori, anche se questi – afferma Cir – potrebbero servire a rimborsare anticipatamente (proprio a causa della crisi di Sorgenia) un bond da 259 milioni [4]. Tra le due ipotesi sul tavolo (stralciare o portare i libri in tribunale) ne è infine emersa una terza: convertire buona parte dell’esposizione “di troppo” in azioni. Gli istituti, nello specifico, avrebbero chiesto a Cir un aumento di capitale di 150 milioni in cambio appunto della conversione di 300 dei 600 milioni oggetto della trattativa. La restante parte del debito (ossia 150 milioni) potrebbe essere stralciata o potrebbe essere oggetto di un prestito convertendo di media-lunga durata. In questo caso, la maggioranza e dunque il controllo del gruppo energetico passerebbe alle banche [5]. Durissimo Il Sole 24 Ore secondo cui, in sintesi, starebbe per concludersi un’altra storia di capitalismo straccione all’italiana. Fabio Polese: «Una vicenda iniziata male e che finirà peggio. Il peccato originale per Sorgenia data da molti anni ed è stato tanto debito, poco capitale e redditività decrescente. Un mix velenosissimo. Già nel 2009, il debito superava di 10 volte il margine lordo. Poi, nonostante il credit crunch (per gli altri) le banche hanno aumentato l’esposizione salita del 50% e oggi a quota 1,8 miliardi. I margini al contrario si annullavano. Ora la soluzione sarebbe di riequilibrare la società. De Benedetti dovrebbe fare la sua parte e mettere 600 milioni in Sorgenia. In fondo è poco più del ricavato ottenuto dalla contesa Fininvest. Ma la famiglia sembra non voler accettare di fare in toto la sua parte. Sa che, se non muta il quadro, rischia di perdere i soldi. Ma così saranno le banche ad accollarsi la grana più grossa. Un copione già visto con i vari Zaleski e Zunino. Non ci si aspettava che quella scena la calcasse De Benedetti» [6]. È il dicembre 2012 quando, in vista delle primarie del Pd, Carlo De Benedetti liquida in modo sprezzante Matteo Renzi annunciando che voterà per Pier Luigi Bersani:«di Berlusconi ce n’è bastato uno». Poi il Pd esce malconcio dalle elezioni e il sindaco di Firenze acquista nuova luce. Il vecchio finanziere e il giovane politico si annusano a distanza, finché nella primavera del 2013 arriva il disgelo. Incontri privati, chiacchiere nell’appartamento romano di via Monserrato 61 (dove nel 1993 l’Ingegnere trascorse gli arresti domiciliari), poi il 6 giugno il gesto eclatante: De Benedetti si reca a Palazzo Vecchio nello studio del primo cittadino, ufficialmente per presentargli il convegno “Repubblica delle idee” [1]. Bonazzi: «Ne esce dichiarando ai quattro venti la massima stima nei confronti del sindaco. L’attuale premier invece non farà uscire una sola parola di quella lunga conversazione e ai suoi collaboratori sembrerà, se non infastidito, un filo turbato» [7]. Cingolani: «Da allora comincia un’accorta escalation di sostegni pubblici. L’editore dichiara che Enrico Letta e Renzi possono convivere, poi in novembre, alla vigilia delle primarie, rivela che voterà per Matteo, con piena convinzione. Intanto, la Repubblica e l’Espresso alzano il tiro sul governo fino alla bordata del 21 gennaio quando il settimanale del gruppo esce con un sondaggio dell’istituto Demopolis secondo il quale solo 3 italiani su 10 promuovono Letta. La campana è suonata mentre, dalle colonne del quotidiano, Ezio Mauro prepara i suoi lettori al cambio di cavallo» [1]. Ancora, delle ultime settimane, le presunte ingerenze di Carlo De Benedetti nella formazione del primo governo Renzi, denunciate ingenuamente dall’ex ministro Fabrizio Barca. Il fuoco di fila di Repubblica contro il ministro Federica Guidi, abilmente messa in carico a Silvio Berlusconi, all’insaputa del Cavaliere stesso. Il management in scadenza dei colossi dell’energia a controllo statale come Eni ed Enel, tutto oggettivamente nominato dal centrodestra, per il quale il quotidiano dell’Ingegnere ha già chiesto un ricambio totale [7]. Bonazzi: «Più passano i giorni, anzi, più si avvicina una certa scadenza finanziaria, e più emerge il filo rosso che tiene insieme tutte queste partite: la necessità di salvare Sorgenia dal tracollo, mettendola in sicurezza con le banche o appioppandola a qualcuno che prende ordini dalla politica. Una partita che per la Cir dei De Benedetti è quasi disperata, perché la voragine finanziaria della sua controllata energetica mette a rischio l’intero gruppo, editoria compresa» [7]. Le difficoltà di Sorgenia sono esplose negli ultimi mesi ma erano note. Tant’è che a luglio il vertice aziendale è stato riorganizzato: i De Benedetti hanno chiamato a gestire il riassetto un esperto sia di energia sia di finanza come Andrea Mangoni, per molti anni a capo di Acea e direttore finanziario di Telecom Italia fino a qualche mese prima delle dimissioni di Franco Bernabè. Cingolani: «La società è vittima della recessione e delle proprie scelte: ha puntato sulle centrali a gas che oggi lavorano a un terzo della loro capacità. Nel settembre scorso ha svalutato per 287,2 milioni. Il socio straniero, il gruppo austriaco Verbund, ha alzato bandiera bianca, portando a zero la sua partecipazione del 46 per cento» [1]. Per capire come si è prodotto il dissesto del quinto produttore nazionale (e gioiello della holding debenedettiana) bisogna tornare indietro di dieci anni quando Sorgenia decide di indebitarsi e acquistare al prezzo di 400 milioni di euro quattro centrali termoelettriche prevalentemente a gas stipulando contratti vincolanti (take or pay), di fatto più onerosi rispetto alle forniture sul mercato libero (cosiddetto spot) [2]. Brambilla: «È stato un sovrainvestimento che pesa tuttora considerati i ritorni scarsi che generano gli impianti (il cash flow per Sorgenia è solo di 50-100 milioni di euro), ma è stata una scelta strategica che all’epoca sembrava addirittura profittevole, secondo una visione condivisa da economisti ed establishment. Prima della crisi finanziaria Terna, altro operatore dell’energia, considerava sottodimensionato il fabbisogno energetico italiano, servivano più centrali e impianti. All’epoca le previsioni parlavano di un fabbisogno per 83 gigawatt l’ora (per il 2013). A causa della crisi economica però oggi i consumi energetici nazionali (legati all’andamento del Pil) sono tornati ai livelli di dieci anni fa e quelle stime si sono dimostrate eccessive (siamo a 65 gigawatt). Oggi le centrali sono in numero doppio rispetto al necessario e lavorano in media al 15-20 per cento del loro potenziale» [2]. Infine il boom delle rinnovabili sussidiate dallo Stato (10-20 miliardi di incentivi l’anno) ha aggravato il problema di Sorgenia perché il «green» ha inondato il mercato di energia (il 35 per cento arriva da idrico, solare ed eolico) e di nuovi attori (400 mila) rendendo più costosa la produzione per gli operatori tradizionali (in Italia i margini di guadagno sono vicini allo zero per ogni kilowatt ora prodotto) [2]. Ma di che cosa ha bisogno Sorgenia dalla politica e dal governo? Bisognerebbe innanzitutto riuscire a vendere il segmento delle energie rinnovabili in Italia e in Francia. Potrebbe essere interessata anche Enel, al cui interno ci sono manager in ascesa che sarebbero disponibili all’operazione, ma non dovrebbe essere un grosso problema neppure piazzarlo a qualche fondo estero. Vi lavorano 400 persone, delle quali 100 sono già state avvisate di essere «esuberi» [8]. Il vero problema sono le centrali a gas e la quota in Tirreno Power, dov’è in corso un’inchiesta penale (per disastro ambientale e omicidio colposo) dagli esiti totalmente imprevedibili. Bonazzi: «Le banche creditrici e Sorgenia hanno accarezzato l’idea di provare a rifilarle in blocco alla solita Enel, ovviamente con l’aiuto del governo, ma c’è un ostacolo quasi insormontabile: verrebbero sfondate tutte le soglie Antitrust. Problemi di libera concorrenza, invece, non sorgerebbero se a comprare tutte queste centrali semi-inutilizzate fosse l’Eni. Ma dalle parti del Cane a sei zampe la partita si presenta complicata. Anzi, sarebbe probabilmente impossibile se non ci fosse la stagione delle nomine in arrivo, con tutti i vertici in scadenza. Repubblica si è mossa per tempo e già da un mese chiede incessantemente un ricambio totale, a cominciare da Paolo Scaroni e Fulvio Conti. Li hanno nominati “Letta e Bisignani”, ricordano da largo Fochetti, e quindi se ne devono andare» [7]. L’ultimo dei misteri è poi chi abbia invece scelto davvero il nuovo ministro dello Sviluppo economico, che sul settore dell’energia ha vasti poteri. Repubblica ha subito attaccato pesantemente Federica Guidi, mettendola in quota Berlusconi e accusandola di portarsi con sé notevoli conflitti di interesse (la sua Ducati Energia ha un 20% di commesse con imprese pubbliche). Poi ci ha fatto pace, offrendole un’intervista. Bonazzi: «Ma nell’opinione pubblica resterà il marchio di un ministro che non viene certo dal Pd e che Renzie ha preso all’ultimo minuto pescando dall’altra parte. Una mossa perfetta, se dovesse essere lei a mettere la faccia sul salvataggio pubblico di Sorgenia. L’amica di Berlusconi che salva l’Ingegnere. Con Renzie che allarga le braccia e dice: “Io mi occupo solo di politica, non fo affari”. Un autentico capolavoro» [7]. De Benedetti dice che non gestisce più niente, dunque non gli si possono imputare pressioni. Ha lasciato tutto ai figli Rodolfo, Marco ed Edoardo nell’ottobre 2012. Il gruppo è strutturato a cascata con in cima un’accomandita per azioni, la Carlo De Benedetti & figli, la quale possiede Cofide che ha il 45,9 per cento di Cir e da qui si diramano L’Espresso, Sorgenia, Kos (sanità). All’Ingegnere resta in mano la cassaforte Romed non quotata in borsa, che viene usata per le proprie operazioni finanziarie. Fino al maggio 2015 è lui amministratore unico, carica per la quale percepisce 2,5 milioni di euro l’anno [9]. Cingolani: «È una pensione dorata, ma chi può mai pensare che possa stare ai giardinetti? Renzi se ne è già accorto. Secondo una fonte a lui vicina, i due si usano a vicenda, è un patto che viene rinegoziato di volta in volta. Sarà. Intanto, il rottamatore è già finito sotto tutela» [1]. Note: [1] Stefano Cingolani, Panorama 27/2; [2] Alberto Brambilla, Il Foglio 29/1; [3] Cheo Condina, Il Sole 24 Ore 26/2; [4] Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 25/2; [5] Andrea Montanari, Milano Finanza 26/2; [6] Fabio Polese, Sole 24 Ore 27/2; [7] Francesco Bonazzi, Dagospia 27/2; [8] Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 25/2; [9] F.Mas., Corriere della Sera 24/2.