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 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

UNA VITA DA PECORA


Questa è la storia di una vita da pecora, lunga circa diciannovemila chilometri e percorsa da un filo sottilissimo che lega l’Italia alla Nuova Zelanda. Là, dove di lupi proprio non se ne vedono, un giorno di vent’anni fa Roberto Botto Poala chiamò il fratello Luigi con la difficoltà di un’era senza cellulari: «Ciao, se sei d’accordo comprerei una fattoria». Tre secondi di pausa e poi dall’altra parte la risposta: «Fai pure». Ecco dunque Otamatopaio Station, oggi una delle due anime di un’azienda – la Reda di Valle Mosso – che confeziona tessuti per l’alta moda ma che soprattutto è una delle realtà più incredibili del made in Italy. Un’azienda guidata da quattro uomini e 30mila pecore, cioè proprio una roba dell’altro mondo. La Nuova Zelanda appunto, dove si svolge la prima parte della nostra storia: là dove nell’isola del sud il Monte Cook si specchia nel verde del lago Pukaki creando uno scenario da Paradiso, i Botto Poala adesso possiedono tre fattorie (ci sono anche Rugged Ridgers e Glenrock Station), distese intorno a un territorio immenso in una nazione che di conto fa 4 milioni di anime e – appunto – 40 milioni di pecore. Le quali, giusto per smentire le dicerie, vivono una vita serena e senza paura, in pascoli sterminati e curate nei minimi particolari, proprio perché poi c’è bisogno della lana migliore. Ed è lì appunto che parte il viaggio dell’azienda Reda, divisa per quattro secondo un antico accordo per cui almeno un componente di ogni singola famiglia Botto deve entrare in affari. Così ecco che il business ora è in mano a Francesco, Ercole, Fabrizio e Guglielmo, quattro cugini che si dividono i compiti secondo competenze e carattere e che riuniti insieme a mogli, genitori e zii (Roberto appunto e Giorgio) intorno alla signora Paola – la vera (squisita) padrona di casa a Otamatopaio – per festeggiare i 20 anni della fattoria, danno proprio l’idea di essere quello che sono: una famiglia. E quindi un’azienda di famiglia. Perché il lavoro di fare la lana non è cosa semplice e si giudica dai particolari: «Per guidare le nostre fattorie scegliamo sempre persone sposate – spiega Francesco –: nella tradizione neozelandese la moglie si occupa dei conti e così, oltre a un fattore, assumiamo automaticamente anche un amministratore. Ed è tutta gente in gamba e onesta, che lavora nel modo in cui noi concepiamo gli affari. Onestamente, appunto». Come Daryl Croake, ad esempio, un omone come quelli che vedi vestiti da All Blacks su un campo da rugby, sport che naturalmente ha praticato e che ora insegna ai più giovani nel tempo libero. A lui spettano gli 11mila ettari e le 4500 pecore di Oak Hill, a lui il compito di far preparare i pascoli alle mucche prima di portare gli ovini in montagna durante l’estate australe per poi andarli a riprendere prima che arrivi il freddo, secondo una tradizione che vede i fattori partire insieme per una settimana da uomini. A lui, anche, il compito di allenare i cani modulando il suo fischio, una muta di quattrozampe dolci e determinati dei quali solo uno abbaia per mettere in riga le pecore mentre gli altri le portano sulla strada giusta. Poi arriva il periodo della tosa e qui comincia il lavoro più delicato: a Otamatopaio ci sono 6 tosatori in azione, più 3 persone intorno al tavolo dove viene steso il vello che viene poi diviso secondo qualità: la migliore – chiamata 1pp – è un trionfo, visto che in 150 anni ne sono state prodotte circa 150 balle, mettendo insieme Nuova Zelanda e Australia. «Il controllo è la parte più complicata – spiega Fabrizio – se si pensa che un vello di 4 chili ha diversi tipi di lana a seconda della parte del corpo e con quello si possono confezionare fino a 3 vestiti da uomo. E che ogni pecora ha una lana diversa: quelle migliori sono di animali che hanno dai due ai sei anni. Comunque non si butta via nulla: con la lanolina, ovvero il grasso residuo, si fanno oltre 200 prodotti cosmetici».
In ogni caso contano prima di tutto la resistenza, lunghezza e crettatura, ovvero quella leggera ondina che dà bellezza al filo. E per questo conta pure la mano del tosatore, se si pensa che a Otamatopaio vengono prodotti oltre 70mila velli. «L’aver deciso di partire da qui per la nostra produzione invece di comprare direttamente sul mercato – racconta Ercole –, significa che vogliamo avere il controllo totale sulla qualità. Ma attenzione: noi produciamo la lana ma non per questo lavoriamo solo la nostra. Noi facciamo come tutte le fattorie della zona: produciamo e poi le mettiamo all’asta. Se la nostra è migliore cerchiamo di acquistarla (e quasi sempre ci riusciamo), se è migliore quella di qualche altra fattoria puntiamo a quella. È un modo per spronare chi lavora la lana qui ad aumentare la qualità del risultato creando competizione. Ed è un modo per rispettarli». Un modo che – una volta arrivati in Australia per assistere alle aste – porterà alla notizia del lancio del "Progetto Ipp", che Reda ha pensato per la sua festa coinvolgendo tutte le fattorie locali: «Se voi pensate che c’è chi non riesce a produrre una balla del genere in tutta la vita, capite che riuscire ad ottenerne 150 in un paio d’anni anni è davvero una sfida epocale», racconta Ercole. E Francesco chiarisce il punto: «Per riuscirci si deve lavorare sulla salute e il benessere degli animali: le pecore non sono pezzi di legno, meglio stanno e migliore lana producono».
Ecco, insomma, la bellezza di una vita da pecora. La cui storia passa per le aste: a Sydney ce ne sono tre a settimana, così come in altre poche città dell’Australia. Ci si gioca lotti di lana a colpi di centesimi, con il banditore armato di martelletto che snocciola a tutta velocità il valore dei campioni che i compratori possono ovviamente valutare prima dell’acquisto. Un sistema con regole ferree che porta indietro nel tempo: a comprare la lana per Reda c’è Andrew Blanch, direttore della New England Wool, armato di dati tecnici e calcolatrice, perché il budget non si può sfondare mai ed è lì che si vede la bravura. «Loro comprano per noi dalle 15mila alle 18mila balle di lana l’anno racconta Fabrizio –, per un valore tra i 30 e i 40 milioni di dollari. Diciamo che alla fine la nostra lana arriva all’80% dall’Australia e al 20 dalla Nuova Zelanda». E Andrew spiega: «La nostra società ha speso 750 milioni di dollari in 20 anni per comprare la lana più bella. È come fare una torta: bisogna trovare gli ingredienti migliori. Questo è il mestiere di chi acquista: trovare lotti che abbiano la stessa lunghezza, forza, crettatura e qualità. Voi ve ne accorgete quando comprate un vestito: se il cocktail è giusto state sicuri che l’abito non si spiegazzerà». Già, perché di cocktail si tratta, come svela ancora Fabrizio: «Non vogliamo compromessi: prendiamo 200 tipologie diverse di lane succide, facciamo una miscela studiata in 20 anni per avere la migliore performance. Tenete presente che il nostro magazzino filati ha un valore di 6 milioni di euro, lì a Valle Mosso». Dove le balle da 170 chili l’una acquistate in Australia si dirigono via nave, per diventare circa tre mesi dopo un tessuto. Sì, perché la seconda parte di una storia da pecora ha un altro scenario, ma di certo non meno importante. Ovvio: i monti piemontesi che circondano il Biellese non ricordano quelli che si tuffano nel lago Tekapu, altro angolo dell’Eden terrestre, ma è qui che Francesco Botto Poala guida il tour – affascinante – alla scoperta di Reda, 35mila metri quadrati per 360 dipendenti, un’altra vera e propria famiglia: «Visto che le macchine in azienda non si possono mai fermare, alcuni di loro hanno scelto di lavorare sabato e domenica. Fanno turni di 12 ore, più un altro di 8 durante la settimana: 32 ore pagate come se fossero 40 e questo aiuta ad esempio le mamme che avrebbero dei problemi a badare alla famiglia». In un luogo di lavoro, tanto per dire, dove l’aria viene cambiata 25 volte al giorno. Il resto è un’opera certosina che parte dal lavaggio e pettinatura della lana nella vicina Romagnano Sesia, con macchinari controllati a vista e qualità assoluta dell’acqua, che da Roda a Valle Mosso viene poi restituita al torrente vicino all’azienda depurata e ripulita. Poi c’è la tintura in diversi colori, con il rosa come componente dei grigi che è una caratteristica unica della casa. E ancora la ripettinatura per togliere i bottoncini creati dallo choc termico fino a creare quel filo spesso pochi micron ma resistentissimo, 86 chilometri da mettere in rocche per la torcitura per passare all’ordito e insomma per fare 540 pezze al giorno, ovvero 27mila metri di stoffa per 9mila abiti, controllati ad uno ad uno: «L’occhio umano arriva a riconoscere 30 difetti per ogni pezzo di tessuto, le telecamere 8 ... – conclude Francesco – Per questo usiamo la tecnologia per togliere peso a chi lavora per noi, ma il lavoro dell’uomo è fondamentale. Il nostro motto insomma è meno peso e più cervello: dalla Nuova Zelanda fino a qui».
Dove finisce questa storia, non prima di aver visto il laboratorio di chimica con cui Roda ha dato lavoro a ingegneri che hanno inventato, per esempio, l’incredibile lana tecnica Reewolution. Ingegno e fatica insomma per una storia che farebbe enciclopedia ma che anche nello spazio di qualche pagina è comunque affascinante da raccontare a chi non l’ha mai vissuta. A chi, in pratica, non ha mai vissuto veramente un giorno da pecora.