Paolo Conti, Corriere della Sera 28/2/2014, 28 febbraio 2014
MASSIMO RANIERI – [L’AMORE? STO CONTINUAMENTE FUORI, ORA NON AVREBBE SENSO. CERTO, A VOLTE CAPITA DI FISSARE IL SOFFITTO A OCCHI SBARRATI]
Chi è oggi Massimo Ranieri, qual è la sua vera identità? Attore, cantante, performer? «Ruberò la definizione al grande Totò. Io sono un operaio dello spettacolo. Resto chi ero, il ragazzino Gianni Calone che va a lavorare come cameriere al caffè e intanto canta per i clienti. Era già un doppio lavoro. E oggi il cantante Ranieri ha bisogno dell’attore e l’attore ha bisogno di quella voce. Ringrazio il Padreterno per questi doni, per questo li sfrutto...».
E anche tanto. Oggi Massimo-Ranieri, alias Giovanni Calone, nato il 3 maggio 1951 nel cuore di Napoli, al Pallonetto di Santa Lucia, ha impegni certi fino al gennaio 2015, in Italia e all’estero. Un calendario fittissimo, con tre spettacoli che si alternano: «Sogno e son desto» (scritto con Gualtiero Peirce), «Varietà Viviani» e il «suo» «Riccardo III». In più è appena uscito il suo ultimo CD, «Senza ’na ragione». Stanco? «No. Questa è la mia vita. Sto attento al mio fisico. Felice di non essermi mai “sfondato” col cibo e con altro. Certo, qualche volta il tempo si fa sentire. Ho un vecchio dolore muscolare al trapezio. Quando avevo trent’anni passava in due giorni, a quaranta in cinque, a cinquanta in dieci, adesso è un guaio... Non lo accetto. Alla fine, io sono e rimango un Peter Pan. È quella la molla. È lì la forza che mi manda in scena». Il fisico è, in effetti, quello di un giovane adulto. Scattante. Elastico. Asciutto. E solo da vicino il suo viso svela i segni e i solchi di quei sessant’anni appena passati.
Coppie avvelenate
Per milioni di italiani lei, Ranieri, è l’interprete di «Perdere l’amore». Come e perché si perde l’amore, Ranieri? «Oggi è facile perderlo per i problemi economici, per la crisi. In una coppia la serenità “materiale” è molto importante. Quando mancano i soldi è facile che tutto si avveleni, soprattutto quando ci sono i figli di mezzo. Ricordo che mio padre usciva all’alba e tornava la sera, era operaio all’Italsider. Ma sempre col sorriso, quasi con leggerezza, perché il suo posto lo aveva. Per non perdere l’amore, in questi casi, ci vuole pazienza, comprensione, capacità di apprezzare quel poco che si ha». Ma lei, Ranieri, non ha una moglie che l’aspetta a casa. Le pesa questa solitudine? «No. La mia vita è un continuo stare fuori. Che senso avrebbe una moglie che ti aspetta a casa, sola, e tu che stai in giro... Per dieci anni ho avuto una convivenza, quasi un matrimonio. Ed è finita così... Certo, la sera, capita che quando ti addormenti fissi il soffitto a occhi sbarrati». Sarà così per sempre? «Ora dedico il cento per cento al mio lavoro. Quando mi sentirò un uomo maturo, completamente affermato, quando rallenterò... allora il lavoro avrà il cinquanta per cento e ci sarà spazio anche per altro». Quando? La risposta è un sorriso da ragazzo. E sua figlia Cristiana? Com’è tra voi due, dopo gli anni difficili legati a un faticoso riconoscimento? «Adesso ho un ottimo rapporto con lei, ci sentiamo sempre, ne sono felice. Ora ho anche un nipote. Che si chiama, guarda caso, Massimo». Stavolta è una risata.
Eduardo e Romolo Valli
Lei ha sempre parlato molto dei suoi maestri: Giuseppe Patroni Griffi, Giorgio Strehler, Romolo Valli e Giorgio de Lullo, i testi di Eduardo, Mauro Bolognini, Vittorio De Sica. Di Eduardo ha anche le stesse guance scavate, gli zigomi sporgenti... «Ereditato tutto da mio padre. Mia madre, quando scherzava con lui, gli diceva: ’Statte zitte, Eduà’ ... L’ho incontrato solo una volta, durante le prove con Strehler de ’L’anima buona di Sezuan’ di Brecht. Si avvicinò, e mi disse: ’G uagliò, ma pecché nun vuoi faticà co’ mme’ , perché non vuoi lavorare con me? Chissà chi, e perché, gli aveva detto una cosa simile. Figuriamoci. Poi ho interpretato i suoi testi per Raiuno». Una quadrilogia di successo. Poi interrotta. Perché «Bisognerebbe chiederlo alla Rai, a Raiuno... Io ero pronto, c’era già l’accordo con l’allora direttore Mauro Mazza. Poi tutto si è fermato. Avevo in mente il mio sogno, “Zio Vania” di Cechov, una ricerca della napoletanità nell’universo russo. Ma non ne ho più saputo niente. Chiedete a loro...». Un maestro tra i tanti, a scelta: «Romolo Valli. Un mostro. Un monumento assoluto. Era capace di recitare straordinariamente “Enrico IV” di Pirandello e, tra una battuta e l’altra, dettare una lettera ufficiale alla segretaria che prendeva appunti dietro le quinte. Ricordo il suo rapporto con Giorgio De Lullo. Una coppia irripetibile, nella vita e in scena. Mai visto un affiatamento, un affetto, una stima reciproca simili». Un insegnamento che ha ricevuto da lui? «L’episodio della lettera dettata mentre recitava. Significa che devi impadronirti del personaggio una volta per tutte, prima del debutto. E poi prendere l’essere attore sera dopo sera come un lavoro qualsiasi. Per questo tengo insieme tre produzioni».
Non fuitevenne
A proposito di Eduardo, resta famosa la sua esortazione ai napoletani a metà anni 70: fuitevenne, andatevene via, abbandonate questa città impossibile, non c’è speranza. Lei lo direbbe? «No, Adesso vorrei che le migliaia di ragazzi costretti a cercare lavoro altrove tornassero indietro, che avessero la loro opportunità qui, in Italia, anche a Napoli. Quando leggo della fuga dei cervelli giovani, mi fa male il cuore». A proposito sempre di Napoli, quanta napoletanità c’è nel suo lavoro? «Tanta. Tantissima, Continua. Inevitabile. Quando recito Riccardo III non posso non attingere nel pozzo della mia città. Ancora una volta ringrazio il Padreterno per avermi dato questi natali illustri e meravigliosi». Cos’è il lusso, per lei? «Non mi importa di case, macchine... ci sono colleghi che hanno l’aereo privato, figuriamoci. Il mio lusso, la sera, è gustarmi due dita di whisky, con un po’ di ghiaccio perché il sapore è troppo forte. Un altro lusso è fare sport, tenermi in forma, una corsetta anche quando sono in tournée».
Sogni nel cassetto
Sogni nel cassetto? «L’ho detto, “Zio Vania”. Ci riuscirò». E magari la conduzione di un Sanremo? «Una brutta gatta da pelare. Ma oggi me la sentirei, anche se so che non me lo lasceranno mai presentare» E perché? «Perché vorrei un Sanremo a modo mio, vero Festival della canzone e non più passerella di ospiti, uno spettacolo a tutto tondo». Alla fine, Ranieri, cosa la aiuta ad andare avanti con tutta questa energia? «Non vorrei fare il gradasso citando Balzac, ma mi vengono in mente le Illusioni perdute... Mi mandano avanti le illusioni che ancora ho nel cuore. Lasciatemele, quelle illusioni. Voglio ancora essere pieno di illusioni». Riecco il sorriso del ragazzo, di Gianni Calone, nato nel cuore della sua Napoli.