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 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

BANKITALIA, LETTERA UE AL TESORO SOSPETTO AIUTO DI STATO DIETRO IL DECRETO


FOSSE così, il decreto che rivaluta il capitale di Palazzo Koch andrebbe riscritto. E il premier Matteo Renzi avrebbe la certezza di aver ereditato dal suo predecessore un’eredità politicamente radioattiva. A maggior ragione se Beppe Grillo continuerà a usarla per accusare il governo e le authority di colludere con i grandi banchieri.
Per ora Bruxelles non salta alle conclusioni, perché l’esame del caso Bankitalia è appena agli inizi. Tutto è partito dal ricorso alla Commissione da parte dell’eurodeputato dell’Idv Niccolò Rinaldi (gruppo Alde) sulla rivalutazione del capitale della Banca d’Italia. In realtà però i guardiani della concorrenza che lavorano per il vicepresidente della Commissione, lo spagnolo Joaquin Almunia, avevano inevitabilmente notato l’operazione su Via Nazionale. È dunque molto probabile che avrebbero comunque cercato di capirci qualcosa di più, anche perché la posta in gioco è elevata. Proprio in questi mesi le grandi banche italiane sono sottoposte all’esame sulla qualità e la tenuta dei loro bilanci da parte della Banca centrale europea e dell’Eba, la European Banking Authority. E dall’estate scorsa le nuove disposizioni di Bruxelles impongono perdite sugli azionisti o i creditori degli istituti in caso di aiuti di Stato: se il decreto su Bankitalia non passasse il controllo dei guardiani della concorrenza, si aprirebbe uno dei casi più difficili di sempre nel rapporto fra l’Italia e Bruxelles.
L’ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni non ha mai notificato a Bruxelles il decreto Bankitalia (poi convertito in legge) come un caso di possibili sussidi pubblici. Ma il testo contiene misure che in Commissione europea non sono passate inosservate. Le quote di Via Nazionale sono rivalutate da 300 milioni di lire (il valore fissato all’origine, nel 1936) a 7,5 miliardi di euro e viene proibito a qualunque azionista di detenere più del 3% del capitale. Poiché Intesa San Paolo oggi ha il 30,3% e Unicredit il 22,1% e anche Generali, Cassa di Risparmio di Bologna, l’Inps e Carige sono sopra la soglia, per loro si prospetta una plusvalenza dalla vendita delle quote in eccesso. Sulla base della rivalutazione fissata dal decreto Intesa incasserebbe 2 miliardi di euro e Unicredit 1,6 miliardi. In entrambi in casi sarebbe il doppio o comunque molto più dell’utile netto per il 2013, anche se il flusso in entrata varrà solo sul bilancio del 2015.
In base all’esame di Bruxelles, i profili di aiuto di Stato potrebbero nascondersi a vari stadi dell’operazione. Si tratta di capire se la rivalutazione delle quote, con il passaggio di risorse da riserva a capitale di Bankitalia, permette alle banche socie un rafforzamento ingiustificato del loro patrimonio. Dato che il decreto Saccomanni prevede che Via Nazionale possa distribuire un dividendo annuo fino al 6% del valore di ogni singola quota, stimato in 25 mila euro, Bruxelles vorrà anche capire se è corretto che le riserve della banca centrale siano da considerare risorse distribuibili ai soci. Questi punti sono già stati sollevati nell’interrogazione di Rinaldi alla Commissione
Ue.
Poi c’è l’aspetto forse più delicato, l’opzione che Bankitalia ricompri le quote rivalutate dai suoi stessi azionisti. L’istituto centrale, recita il testo di legge, «può acquistare temporaneamente le proprie quote (...) con modalità tali da assicurare trasparenza, parità di trattamento e salvaguardia del patrimonio». In altri termini, se Intesa, Unicredit, Generali o altri non riescono a vendere sul mercato i loro titoli, li può comprare Bankitalia stessa con il vincolo di rivenderli a un prezzo che non comporti per lei delle perdite. Qui rischia di annidarsi un aiuto di Stato, in base ai dubbi presenti a Bruxelles, perché Palazzo Koch rafforza le banche socie direttamente con le proprie risorse. La Banca d’Italia invece si considera solo un tramite fra entità private, dato che compra le quote a prezzi non di favore e poi si impegna a rivenderle.
L’esame della Commissione non sarà solo un atto dovuto, ma una verifica approfondita. E potrebbe tener conto anche della forte irritazione delle banche estere attive in Italia per il trattamento fiscale che il decreto riserva agli azionisti italiani di Bankitalia. La plusvalenza dovuta alla rivalutazione del capitale viene tassata al 12,5%, come si fa con i titoli di Stato, e non al 20% come invece succede per gli altri strumenti finanziari: un trattamento fiscale incomprensibilmente di favore, secondo le banche estere. Inoltre, Bruxelles vorrà capire se è corretto per il diritto comunitario che il decreto vieti a società europee di diventare socie di Bankitalia. Nella campanella che Enrico Letta ha passato a Renzi pochi giorni fa, rischia di nascondersi un ultimo regalo a sorpresa.