Sebastiano Messina, la Repubblica 28/2/2014, 28 febbraio 2014
IGNAZIO SULLE BARRICATE DEL CAMPIDOGLIO “MA IO CE L’HO CON IL PARLAMENTO”
DA DOMENICA, ha annunciato al microfono di Minoli a “Mix24”, blocco la città. Niente bus e niente metro, «e fortunati i politici che hanno l’auto blu perché potranno continuare a girare, i romani invece no», e dunque hanno ragione ad essere arrabbiati, «dovrebbero inseguire la politica con i forconi ». Dopodiché, sganciata questa bomba, se n’è andato all’Anci, in via dei Prefetti, dove lo aspettavano Fassino e gli altri sindaci delle grandi città per fare il punto della situazione.
Una riunione così delicata che Marino non ha voluto interromperla per rispondere al telefono anche quando sul display è apparso il numero di Palazzo Chigi. Per tre volte il telefono ha squillato a lungo, per tre volte lui non ha risposto. Finché sull’Iphone colorato ha visto il numero di Silvia, la sua segretaria: «Guarda che ti sta cercando Matteo Renzi, rispondigli! ». E allora c’è stata quella che Palazzo Chigi ha poi definito «una telefonata energica», animata dall’«irritazione » del presidente del Consiglio. Un malumore infastidito che Renzi manifesterà in serata anche davanti alla Direzione del Pd: «Le preoccupazioni di Marino sono comprensibili, ma il sindaco ha usato toni inaccettabili».
Alle quattro del pomeriggio, dopo aver riunito il capo di gabinetto, il segretario generale, il vicesindaco e l’assessore al Bilancio, dopo un’ora di filo diretto a Radio Radio, dopo una lunga intervista con Paola Saluzzi a SkyTg24, dopo aver già rilasciato tre delle dodici interviste sulla telefonata con Renzi, Ignazio Marino tira fuori dallo zaino Jansport la busta di plastica trasparente che contiene il suo pranzo: una mela sbucciata. Lo chiamano a uno dei cinque telefoni del suo ufficio (tre sono collegati direttamente con Palazzo Chigi, con il Viminale e con il prefetto di Roma, due sono per il resto del mondo) e lui spiega con la massima serenità di cui è capace che «con Matteo Renzi non ci sono problemi, assolutamente, mi ha parlato con lo spirito di un sindaco che sa bene che gli autobus non vanno ad aria ma a gasolio».
Ma scusi, domando, cosa vi siete detti al telefono? «Lui era preoccupato dai toni che ho usato. E voleva garantirmi che a Palazzo Chigi stanno lavorando per risolvere il problema. Matteo, gli ho detto, guarda che io ho sempre parlato con rispetto nei confronti tuoi e di Delrio, che mi è sempre stato fraternamente accanto da quando era il presidente dei sindaci». Ed è finita qui? «No. Ti prego, mi ha detto lui, di non usare toni severi verso il governo appena costituito. Al che gli ho risposto: guarda che io ho solo plauso verso questo governo. Per un motivo molto semplice. Così come un chirurgo si sente più a suo agio tra i chirurghi che non tra i diabetologi, io mi sento protetto da un governo dove ci siete tu e Delrio, due sindaci come me. Perché parliamo lo stesso linguaggio e ci capiamo al volo».
Non ce l’ho col governo, assicura Marino al Tg3, al Tg1, al Tg2, al Tg5, a RomaUno, a TeleRoma56 e a tutte le tv che – guidate da Guido Schwarz e Marco Girella, i suoi infaticabili consiglieri per la comunicazione arrivano nel suo studio per fargli la stessa, immancabile domanda. E a ogni intervista, dietro la sua ostentata serenità si intuisce che lui avrebbe fatto volentieri a meno di questo duello pubblico tra sindaci. Non ce l’ho col governo ma con il Parlamento, dice, sorseggiando il succo di mela verde che il commesso gli ha portato. E mentre, seduto sul divano tira fuori da una pila di cartelle rosse e blu le lettere da firmare per i ministri, tutte con il post-it giallo con la lettera F che indica il via libera del capo di gabinetto e del segretario generale, il sindaco spiega con chi ce l’ha: con il Parlamento. «Come è possibile che la commissione Bilancio del Senato impieghi 42 giorni per dare il suo parere su un provvedimento? In 42 giorni quelle tre paginette potevano anche studiarsele, o no?».
A voler essere ancora più precisi, ce l’ha con una parlamentare in modo particolare: la senatrice Linda Lanzillotta, che in questo palazzo fu assessore al Bilancio delle giunte Rutelli. «Ma come, è una che ha avuto la responsabilità di gestire le finanze del Campidoglio per nove anni, diconsi nove anni, e mi viene a dire che negli ultimi vent’anni qui non c’è stato rigore amministrativo? E’ come se uno zio che s’è giocato tutto al casinò tornasse a casa dicendo: sapete che c’è, adesso dovete vendere tutti i mobili. Ma a lei non mi pare che abbiano dato il Nobel per l’economia, per la vendita della Centrale del latte, o mi sbaglio?».
A sera, quando esce dal Campidoglio per accogliere Napolitano alla prima dell’Opera («Ma quanto dura la Manon Lescaut? » s’informa, preoccupato) non sa ancora che Renzi non gli ha ancora perdonato la sfida del mattino. Ma l’importante, per il sindaco, è che finalmente arrivino i soldi per Roma. «Anche se io sono della vecchia scuola: non dire gatto se non l’hai nel sacco…».