Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

LA CRUSCA IN CAMPO: METTIAMO L’ITALIANO NELLA COSTITUZIONE


Milano. Qual è la lingua ufficiale del nostro Paese inserita nella Costituzione? La risposta non è quella che la maggioranza può immaginare. La risposta è: nessuna. Nella Carta infatti non vi è alcun cenno all’italiano e per questo nei giorni scorsi l’Accademia della Crusca ha riunito giuristi e costituzionalisti attorno a un tavolo: dopo quasi settant’anni, i tempi sono maturi per l’aggiunta. Lo spazio infatti ci sarebbe, magari nel sesto articolo, dove si parla delle minoranza linguistiche; o nel nono, dove si fa riferimento al patrimonio storico e artistico. «Siamo la quarta lingua più studiata nel mondo» dice Nicoletta Maraschio, presidente dell’Accademia, «e crediamo che darne un riconoscimento ufficiale sia il primo passo verso la valorizzazione dell’italiano, perché una cosa è certa: dobbiamo smetterla di sentirci subalterni , per esempio, nei confronti dell’inglese».
Se si parla di subalternità e politica, come non pensare alla miriade di termini (jobs act, authority, welfare, governance, austerity, family day, election day, antitrust, exit poll, instant poll, question time, social card ecc.) che hanno ormai soppiantato l’italiano, spesso senza che ve ne sia necessità? «L’annuncio dato un anno fa dal rettore del Politecnico di Milano di voler avviare i corsi magistrali e dottorali in inglese, escludendo l’italiano dalla formazione superiore di ingegneri e architetti, è una scelta abnorme e suicida che non sarebbe mai stata possibile se tra i valori fondanti della Repubblica ci fosse stata la nostra lingua» aggiunge Maraschio. Ma un giurista attaccatissimo alla Costituzione come Stefano Rodotà non è poi così d’accordo: «Non vorrei che argomentazioni di questo genere finissero per dirottare l’attenzione su altro, quando oggi il tema numero uno è l’efficienza della scuola, soprattutto quella pubblica, da preservare proprio perché è il luogo dove si impara ad amare la propria lingua». Il fatto che la famiglia di origine del professore appartenga a una minoranza linguistica (gli arbëreshë, albanesi arrivati in Italia nel 1500) non c’entra nulla: «Ma un vincolo costituzionale del genere in Francia ha causato molte distorsioni. Sostanzialmente si utilizzò la postilla per impedire che venissero elargiti fondi pubblici a studiosi di altri Paesi».