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 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

IL FRONTE SI FA IL TRUCCO PER SEDURRE I FRANCESI E AZZOPPARE L’EUROPA

IL FRONTE SI FA IL TRUCCO PER SEDURRE I FRANCESI E AZZOPPARE L’EUROPA –

A Forbach – estremo nord-est della Francia, dipartimento della Mosella, sul confine con la Germania – dei minatori è rimasta la statua accanto al municipio: tre uomini al lavoro, accovacciati, gli strumenti per estrarre il carbone nelle mani, il casco con la lampada; sotto, la scritta “a nos mineurs”. L’ultima miniera di questo piccolo paese, ventimila abitanti e in calo, ha chiuso nel 2004 e ha messo la parola fine all’era dei lavori duri ma delle certezze solide. È qui, nel cuore dell’Europa geografica e istituzionale, a pochi chilometri dal Lussemburgo, che il mese prossimo Florian Philippot gioca la sua sfida: alle elezioni comunali del 23 e 30 marzo vuole spodestare il sindaco, Laurent Kalinowski, socialista, anche deputato e potente locale.
Philippot, 32 anni, è il candidato del Front National, il partito che sta dando una scossa a questo angolo di terra simbolo del declino economico e nazionale che disorienta la Francia. Ed è l’uomo che sta cercando di cambiare faccia al movimento che suscita disprezzo e paura – per la sua crescita nei sondaggi – alla politica tradizionale di Parigi e di tutta Europa. È il vice di Marine Le Pen – la figlia del fondatore, Jean-Marie – che promette di fare del Fronte il primo partito di Francia alle elezioni europee di maggio. È lo stratega, l’artefice principale della svolta verso un approdo meno razzista e brutale, apparentemente più presentabile di un tempo ma sempre radicale e anti-élite. Mentre passa sotto la statua, un’anziana signora – francese – lo saluta con calore, un giovane di origine africana si avvicina e lo ringrazia: Philippot è straniero a Forbach – nato nel Nord, vicino a Lille – ma quasi nessuno, a parte gli avversari politici, sembra ormai considerarlo persona non gradita.

Per il Comune e per Strasburgo. Alle elezioni del 2012 per l’Assemblée Nationale, nella sesta circoscrizione della Mosella, il giovane politico emergente aveva già sfidato Kalinowski, che tratta come un simbolo dell’establishment responsabile del declino della Francia in casa e nel mondo. Al secondo turno di ballottaggio, perse ma incamerò più del 46% dei voti nonostante contro di lui e a favore dell’avversario si fossero schierati, oltre ai socialisti, anche i partiti conservatori “ufficiali”, innanzitutto l’Ump (l’Union pour un Mouvement Populaire, il partito dell’ex presidente Nicolas Sarkozy). Questa volta dice di poterlo battere alle elezioni comunali perché l’onda popolare è con lui a Forbach ed è con il Front National in tutto il Paese. A maggio, Philippot si candiderà anche per un seggio a Strasburgo.
Spesso, dei politici che si raccolgono attorno a Marine Le Pen si preferisce non parlare: sono considerati degli intoccabili, ondeggianti tra violenza verbale contro gli immigrati e nostalgie antisemite. Tra di loro non mancano fascisti veri e simpatizzanti nazisti. I problemi che si porta dietro l’approccio di rifiuto totale sono però parecchi. Innanzitutto, nei sondaggi per le elezioni europee al Front National viene dato un 23% che lo consacrerebbe primo partito di Francia: qualche ragione ci sarà. Secondo, un personaggio come Philippot è impossibile da cancellare, si stacca dalla vecchia immagine xenofoba e razzista del fondatore del movimento, Jean-Marie Le Pen (pare che i due non si sopportino): prodotto della Scuola di alti studi commerciali Hec e della mitica Scuola di amministrazione Ena – due fucine delle élite francesi – e già funzionario dello Stato, vuole che Parigi esca dall’euro, che si opponga alla globalizzazione, chiudendo le frontiere agli immigrati, ma anche al commercio mondiale; tende però a non attaccare le persone. Critica le “realtà parallele” create dagli immigrati, propone un “protezionismo intelligente”, si oppone all’austerità voluta da Berlino e Bruxelles.

Il consenso degli emarginati. Può essere una maschera elettorale, qualcosa che gli ha permesso di diventare una star nel mondo della comunicazione nazionale. Fatto sta che soprattutto grazie a lui è sempre meno facile accusare il Front National di neofascismo: la stessa leader del movimento, Marine Le Pen, appena può cerca di togliersi di dosso la polvere di estrema destra becera sollevata dal padre. Si chiama processo di dédiabolisation, di moderazione finalizzata a ridurre e rendere meno sostenibile la demonizzazione (comprensibile) a cui il partito è sottoposto da anni: tattico o reale che sia, il cambiamento ha portato fasce di elettori che prima non l’avevano mai fatto a guardare al Front National. Perciò, ed è la terza questione, limitarsi a ostracizzare il movimento è probabilmente controproducente: si rischia di presentarlo come l’unico oppositore alle lontane e supponenti élite parigine, come il vero difensore dei deboli dei quali dice di sostenere gli interessi, di coloro che sono stati licenziati – i disoccupati in Francia sono 3,3 milioni, quasi l’11% della forza lavoro, il livello massimo da 16 anni –, di chi sopporta sempre meno l’Europa (un francese su tre vorrebbe uscire dalla Ue, dice un sondaggio di YouGov). Raccoglie consensi tra i poveri, gli emarginati ma anche tra i lavoratori delusi dai sindacati e dalla sinistra, dai comunisti e soprattutto dal presidente socialista François Hollande che aveva promesso la rinascita dell’economia ma non ha portato risultati. E manda in confusione l’establishment.
La Francia è disorientata, da un po’ di tempo. I due grandi pilastri del consenso, il benessere garantito da uno dei Welfare State più generosi del pianeta e il prestigio nazionale nel mondo, vacillano. L’Ocse dice che il Paese deve fare riforme per crescere di più; modificare il sistema fiscale perché le tasse sono troppo alte; ridurre la spesa pubblica e l’intervento dello Stato nell’economia; ridurre il deficit; pensare all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro e ridurre la generosità del salario minimo che invita i lavoratori meno istruiti a non cercare lavoro. Un programma che farebbe macerie delle basi stesse su cui è stata costruita la Francia almeno negli ultimi 40 anni. Nessun partito ha mai voluto affrontare questi problemi e praticamente nessuno ha nemmeno mai detto che andrebbero affrontati. Non che oggi lo dica il Front National: anzi, le sue proposte – la rottura con l’Europa, la chiusura delle frontiere, l’ulteriore segregazione tra gruppi etnici sul territorio – porterebbero probabilmente al disastro. Sulle illusioni di poter non cambiare e sulla loro caduta – di cui sono responsabili destre e sinistre tradizionali – gli slogan e le proposte spesso rabbiose di Marine Le Pen e Florian Philippot trovano però un terreno su cui correre: dimostrazione che quando si negano i problemi per tanto tempo, prima o poi arriva qualcuno a prendere la leadership del cambiamento; e non è detto che sia la persona giusta.
Ora Hollande, crollato nei sondaggi, dice di volere cambiare e realizzare quelle riforme che la Francia ha finora sperato di evitare. Di certo, il presidente non farà però in tempo a beneficiare della svolta politica, ammesso che la realizzi davvero, prima delle elezioni europee di maggio. Il che pone un problema serio a Parigi ma anche all’Ue: una vittoria del Front National darebbe una scossa dagli esiti imprevedibili al sistema politico francese e sarebbe un catalizzatore per tutte le forze di ispirazione simile nel continente. Una Francia, per sessant’anni cuore dell’Europa assieme alla Germania, che diventasse il centro aggregante di un movimento continentale dedicato ad alzare muri e a chiudere le frontiere sarebbe una novità capace di cambiare tutti gli equilibri. Marine Le Pen sta tessendo una rete di contatti, in qualche caso di alleanze, che coinvolge l’Ukip in Gran Bretagna, la Lega Nord in Italia, il Partito per la Libertà di Geert Wilders in Olanda, le destre estreme in Ungheria, forse Alba Dorata in Grecia e altri movimenti minori. Sono diversi tra loro, ma hanno la forte probabilità di segnare un successo alle elezioni di maggio e, dietro alla guida dei francesi, di creare un nuovo clima nell’Unione europea.
Non solo. La relazione della Francia con la Germania sarebbe ancora più difficile di oggi. A Berlino, Angela Merkel ha appena vinto un’elezione, la terza, e formato una maggioranza, per quanto non ancora solida. Un Hollande umiliato dai risultati delle europee faticherebbe a presentare il rapporto tra i due Paesi come una relazione tra pari, immagine alla quale i francesi sono attaccati e che vogliono mantenere: su una serie di questioni importanti, dall’integrazione politica della Ue all’unione bancaria, l’asse franco-tedesco rischierebbe di muoversi tra il minimalismo estremo e il litigio su chi detta l’agenda. Inoltre, Frau Merkel chiederebbe a Parigi di imboccare con decisione la strada delle riforme. E, in generale, in Germania verrebbe letta malissimo una vittoria delle destre estreme nel Paese che dovrebbe essere il partner nel tandem alla guida dell’Europa.

I fallimenti di Hollande. Non necessariamente un dramma, se Parigi come i governi europei fossero pronti a dare risposte a chi voterà i partiti radicali di destra. Se sapessero come riformare l’Europa senza umiliare chi ne fa parte. Non è però così. Finora, il presidente francese ha fallito sul versante domestico ma è stato molto attivo su quello estero. In buona parte grazie al parziale disimpegno dell’Amministrazione Obama nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, Parigi – dopo avere guidato le operazioni contro Gheddafi in Libia con Sarkozy – ha inviato truppe in Mali e nella Repubblica Centrafricana, ha progettato l’intervento occidentale in Siria (per poi essere bloccata dalla Casa Bianca), ha tenuto con il ministro degli Esteri Laurent Fabius la posizione più dura sull’allentamento delle sanzioni all’Iran. Un modo per dire ai cittadini che la Francia ha ancora un ruolo negli affari internazionali. Una posizione ammirevole ma anch’essa esposta a rischi. Hollande neo-con, difensore delle libertà all’estero e garante del prestigio internazionale della Francia, si scontra ancora con l’estrema destra, con Philippot che sostiene essere il Front National il vero erede del Generale de Gaulle e l’unico difensore della sovranità della Nazione: per il presidente un terreno che non porta consensi ma apre la porta a rischi di fallimento che sarebbero dannosissimi. Tutto, oggi, è difficile.
Non è detto che a fine marzo il giovane pupillo di Marine Le Pen conquisti Forbach: di certo alle elezioni comunali in tutta la Francia il Front National conquisterà però seggi e getterà le basi per la competizione europea di maggio. Con i partiti tradizionali, a Parigi e in tutta Europa, indignati. Ma per ora disarmati.