Enzo Bettiza, La Stampa 28/2/2014, 28 febbraio 2014
DAI SOLDATI DI CAVOUR A JALTA QUI SI INTRECCIANO I DESTINI DEL MONDO
La parola Crimea evoca subito la parola guerra. Il pensiero corre al conflitto che dal 1853 al ’56 vide la Russia scontrarsi con un malandato impero ottomano, sostenuto a fatica dalla Francia e dalla Gran Bretagna, al cui fianco il conte di Cavour aveva inviato un corpo di spedizione piemontese di quindicimila soldati al comando del generale La Marmora.
Perno e simbolo dello scontro fu il lungo assedio di Sebastopoli, durato tre anni e descritto con toni ora mesti ora trionfali da Tolstoj in uno dei suoi più noti racconti. La guerra mietè un numero altissimo di vittime: almeno 250 mila furono i morti sui due fronti, dovuti anche al colera.
Quasi più isola che penisola del Mar Nero, con Sebastopoli caposaldo meridionale della flotta russa, la Crimea doveva diventare il campo di battaglia e l’oggetto di una trattativa di pace destinati a mutare il volto storico e politico dell’Europa ottocentesca. Quella guerra vide il decadente impero ottomano, sostenuto con straordinaria energia dagli anglo-francesi, impegnarsi in uno sforzo estremo di contenimento del proprio declino. Per le forze franco-britanniche che inflissero alla Russia il crollo di Sebastopoli fu un trionfo memorabile; ma per l’impero della Sublime Porta non fu altro che una vantaggiosa sosta militare lungo il suo inarrestabile tramonto. Per Cavour e il suo piccolo Stato l’occasione invece per sedersi al tavolo dei Grandi da vincitore.
Terra in cui si decidevano, e si decidono ancora i destini dei popoli, la Crimea evoca anche la Conferenza di Jalta che vide riuniti, mentre Hitler volgeva alla fine, uno Stalin trionfale, un Churchill gran mediatore e un Roosevelt vicinissimo alla morte. Quell’incontro fatale avrebbe marcato la spartizione dell’Europa postbellica in contrapposte sfere di influenza: fu proprio Jalta a segnare il preludio della guerra fredda, quindi la lacerazione del nostro continente e la nascita della cortina di ferro. Un’aureola tetra da allora la circonda. Fu a Jalta che Palmiro Togliatti morì durante una breve vacanza dopo la sua ultima missione a Mosca, lasciando un enigmatico «memoriale» che ha segnato per anni il dibattito interno al Pci.