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 2014  febbraio 28 Venerdì calendario

DA NAPOLI A VENEZIA, LE GRANDI CITTÀ SOTTO LA SCURE


Alla ricerca di un bilancio normale, che permetta di evitare tagli draconiani degli stipendi, paralisi di servizi essenziali, cancellazione di accordi integrativi raggiunti con fatica attraverso la contrattazione coi sindacati. Nell’agenda del governo Renzi appena insediato, non c’è solo l’emergenza romana, legata alla mancata conversione del decreto. Da Milano a Napoli, passando per Venezia, sono tante le città con bilanci boccheggianti. Alcune hanno i conti in ordine altre sono in condizioni di pre-dissesto. In difficoltà non sono solo le grandi metropoli, spiega Daniele Manca, sindaco di Imola e presidente dell’Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) dell’Emilia Romagna. Proprio a Imola, segnala Manca, nel giro di pochi anni gli investimenti si sono ridotti da 15 a 2 milioni di euro. E tutti i Comuni hanno bisogno di investire, ad esempio per il contrasto del dissesto idrogeologico. «Nessuno vuole andare oltre la soglia, semplicemente non vogliamo che si confonda chi spreca con chi investe». Poche, per la verità, le lacrime versate sulla mancata conversione del decreto “Salva Roma”. «Non è con la decretazione che si possono risolvere i problemi», spiega il vicepresidente dell’Anci, che ricorda come ad esempio la vicenda Imu servisse allo stato per circa 30 miliardi. La parola chiave, rilanciata recentemente da Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente nazionale dell’Anci, è l’autonomia fiscale. Se Ignazio Marino, sindaco di Roma, ha fatto capire di non voler fare «il commissario» del suo Comune, molti suoi colleghi rifiutano il ruolo di esattori. «Con il rigore finiamo per ucciderci», dice Manca, «se si vuoi fare ripartire il Paese bisogna mettere i Comuni nelle condizioni di investire».
A Venezia, spiegano in Comune, i soldi in cassa ci sarebbero, ma il Patto di stabilità impedisce di utilizzarli. «Abbiamo i conti in ordine – spiega il vicesindaco Sandro Simionato – ma rischiamo di pagare una situazione che dipende dai meccanismi di calcolo del patto di stabilità». In pericolo c’è soprattutto la parte accessoria delle retribuzione dei dipendenti («Non quelle dei dirigenti», sottolinea Simionato). Ma cosa può succedere nella città lagunare? La conseguenza immediata potrebbero essere tagli in busta per i dipendenti comunali dell’ordine del 15-25% ovvero da 150 a 450 euro al mese e da 2.000 a 4.500 euro l’anno. Ma non basta. Potrebbero saltare attività essenziali. Ad esempio attraverso il taglio delle supplenze dei nidi. Entrate che sono venute a mancare e relative spese che sono rimaste. Un meccanismo unico per una città unica come Venezia. Ad esempio rimangono i 120 milioni della legge speciale per il Mose, ma si tratta di soldi che entrano ed escono. Partite di giro che non rimpinguano le casse comunali ma pesano nei meccanismi di computo della Stabilità. «Noi non chiediamo risorse ma attenuazione di sanzioni studiate con una logica che si accanisce sui dipendenti comunali».
A Napoli la situazione è un po’ più complicata e per comprenderla bisogna tornare indietro di tre anni. Nel 2011 il sindaco Luigi De Magistris decise di chiudere con il passato ripulendo i conti del Comune e si aprì una voragine di 850 milioni di euro. Cos’era successo? Sostanzialmente De Magistris aveva deciso di non conteggiare più entrate fittizie che per anni erano state considerate come normalissime poste di bilancio. Multe non pagate, tasse dei rifiuti e altri tributi locali mai riscossi. La situazione la riassume il sindaco Luigi De Magistris. Oltre al disavanzo di 850 milioni, «su Napoli gravano debiti per un miliardo e mezzo accumulati nel corso degli anni». A minare il bilancio, spiega il sindaco, crediti di dubbia esigibilità, spazzatura per troppo tempo nascosta sotto il tappeto. «Io sono amico di Ignazio Marino e proprio oggi ero con lui, ma faccio notare che mentre per Roma ci sono già state due leggi speciali, nulla del genere è avvenuto per Napoli, considerata la capitale del Mezzogiorno». Napoli è in stato di pre-dissesto. Ogni sei mesi arrivano le prescrizioni dalle autorità contabili. «Per evitare il dissesto ci chiedono cose come il licenziamento di 3000 dipendenti comunali o la chiusura della refezione scolastica», racconta il sindaco. «Anche Comuni come Napoli devono essere sostenuti e accompagnati», conclude, «la visione ragionieristica che impone sanzioni gravissime, che non tengono conto alcun conto delle conseguenze sociali dei tagli va cambiata».