Paola Casella, Donneuropa 28/2/2014, 28 febbraio 2014
SABINA CIUFFINI, DA VALLETTA PARLANTE AD ATTIVISTA
È stata la valletta di Mike Bongiorno per cinque edizioni del Rischiatutto, dal 1970 al 1974, e con Mike ha condotto nel ’75 anche il Festival di Sanremo. È attrice e giornalista, ha intervistato i grandi nomi degli anni Settanta per Sorrisi & Canzoni Tv e condotto il quiz M’ama non m’ama. Era uno dei simboli vintage di Anima mia e poi è diventata produttrice cinematografica (vincendo anche un David di Donatello) e imprenditrice nel settore culinario. “La mia vita è in equilibrio fra famosa e normale”, dice oggi Ciuffini, “e la cifra della casualità è stata molto importante”.
Sabina Ciuffini ha sempre precorso i tempi, anche se quasi sempre è successo per caso. Oggi invece per scelta ha creato il portale Unaqualunque.it dove “si parla delle molteplici iniziative delle donne e si cerca di creare una massa critica femminile irreversibile”. Ed è madrina della ventunesima edizione del film festival Sguardi Altrove, “rassegna italiana di cinema e linguaggi artistici al femminile”, che si apre oggi alla Triennale di Milano.
Come è avvenuto l’incontro con Mike Bongiorno?
Mike si presentò davanti al liceo classico Giulio Cesare di Roma in cerca di una valletta per il suo nuovo programma. Io scendevo le scale con i libri e la minigonna. Mike mi disse: “Signorina, vuole fare la televisione?”. Era il ’68 e, al contrario di oggi, nessuna voleva andare in tv. Anche io stavo per rispondere di no, quando Mike aggiunse: “Guardi che le sto offrendo uno stipendio”. Alla parola stipendio mi fermai, perché in casa mi era sempre stato detto che non avrei potuto fare a modo mio finché non avessi avuto un’autonomia economica. Grazie a Mike, a 18 anni, un’età in cui nel ’68 si era ancora minorenni, guadagnai 20 mila lire la settimana, che allora erano tantissime.
Come le spendeva?
Con la mia comitiva – perché allora si chiamavano comitive – ci sparavamo tutta la paghetta fino al giovedì successivo: per esempio ce ne siamo andati in gita a Londra. Oppure frequentavamo il Piper al pomeriggio, e io e le mie amiche eravamo le “piccole” del Bandiera gialla, dove trovavamo Rocky Roberts e Patti Pravo. Ci toglievamo il calzettone bianco prima di entrare e infilavamo la scarpa di vernice. Un periodo meraviglioso.
Però fare la valletta o la ragazza del Piper non era gradito ai sessantottini…
Eh no, ci voleva un certo coraggio ad andare in video in quel periodo. Dopo il liceo ho frequentato Filosofia alla Sapienza e mi è capitato di avere dietro cortei che urlavano slogan contro Mike Bongiorno. Le mie cugine erano femministe e non approvavano le mie ciglia finte, ma già allora ero molto individualista.
Lei comunque è stata la prima “valletta parlante” di Mike: fino a quel momento si limitavano a portare buste…
Beh sì, se Mike mi chiedeva: “Hai fatto un esame e hai preso 110 e lode?” io rispondevo: “Mi scusi, ma ho preso 30, perché 110 all’università è un po’ troppo”. Riguardando le trasmissioni, mi sono accorta che le ragazze allora avevano di sé un’opinione piuttosto robusta. Ero educata, ma nello stesso tempo la mia personalità rimaneva evidente.
Mike era paternalista nei suo confronti?
Più che paternalista, era paterno. Amava i suoi concorrenti e la sua valletta e aveva un occhio protettivo nei miei confronti, anche pro domo sua. Non avendo complessi di inferiorità, non temeva di essere messo in ombra dalla sua valletta, come molti invece fanno ultimamente. Del resto era molto più intelligente di quanto non si volesse ammettere ai tempi. A me parlava del fatto che, dato che ci seguivano 30 milioni di spettatori e che avevamo fatto vendere 5 milioni di televisori a colori, davamo lavoro agli operai e questa era una responsabilità da non dimenticare. Mi ripeteva sempre anche che lo studio va rispettato. E in 5 anni non mi ha mai fatto pressing, di nessun genere.
Poi ha lavorato anche con Silvio Berlusconi…
Sì, per un anno intero, a Tele Milano. Lui mi diceva: “Voi siete ragazze moderne, per voi l’amore è libero”, e io rispondevo: “Dottore, l’amore è libero nel senso che siamo libere di fare l’amore con l’uomo che amiamo”. Pensavo di dare spiegazioni teoriche. Invece chiaramente il grande marketing maschile a tanta ingenuità rispose: o me la dai o scendi. Però non vorrei scambiare i miei venti-trent’anni di allora con quelli di oggi.
Cos’è più difficile oggi per una giovane donna?
Secondo me le donne di oggi, almeno fino ai 35anni, si trovano in una situazione impossibile. Da una parte si dice loro che sono al comando, il che subdolamente suggerisce anche che sono responsabili di tutto, e invece il contesto attuale è estremamente penalizzante per loro, sia dal punto di vista professionale che politico che personale. Oggi le donne fino ai trent’anni, anche se sono il massimo della meraviglia, non sono più considerate esseri umani pregiati ma vuoti a perdere. Naturalmente non si percepiscono così ma hanno tutte un po’ di malinconia negli occhi e non sanno perché, credono di avere colpa anche di questo. E invece quel fondo di malinconia è giustificato, e loro sono davvero coraggiose.
È per questo che ha creato il portale Unaqualunque.it?
Ancora adesso le persone mi riconoscono e mi parlano come se ci conoscessimo da sempre. Questo mi dà accesso a tantissime storie personali e sono giunta alla conclusione che alcune esperienze di base per le donne sono simili: la malattia d’amore, il parto, la paura per i figli, il fatto di essere un punto di riferimento per gli altri, ma di non vedere il proprio valore riconosciuto. Penso che sia urgente lavorare su ciò che abbiamo in comune, perché la questione femminile è il catalizzatore più forte del terzo millennio. È davvero un patrimonio di tutte, un capital gain giunto a maturazione.
Qual è il progetto che porta avanti con il portale?
Unaqualunque è un gruppo creativo al servizio dell’associazionismo femminile di tutti i generi, dalla Casa della donna alla Fondazione Bellisario. Non aspettiamo di essere tutte d’accordo, e pensiamo che le donne italiane, che sono un milione e mezzo più degli uomini, siano un brand planetario che può fare massa critica per lavorare sui temi basici: la famiglia, la casa, la scuola, gli anziani, ovvero tutto quello che sta sulle nostre spalle. Se riusciamo a fare da aggregatore possiamo migliorare le nostre condizioni di vita non fra cent’anni, ma fra poco.