Jep Gambardella, Vanity Fair 27/2/2014, 27 febbraio 2014
QUANDO IL SOLE SVANISCE
[Intervista a Paolo Sorrentino] –
E così mi chiama la direttrice di questo giornale, quella creaturina con la voce sempre indignata, e mi dice: «Jep, è ora che intervisti Sorrentino Paolo: ormai ha vinto tutti i premi immaginabili e ci tocca dargli almeno mezza copertina. Ma tu l’hai visto La grande bellezza?».
Io non vado al cinema dal 1973, da quando una strega ha trasformato Federico Fellini in Pupi Avati ed è uscito Amarcord. Gli americani gli hanno dato l’Oscar, appunto. E quando agli americani piace, vuol dire che li abbiamo presi in giro. Abbiamo fatto una cosa dicendo: «Ecco, questa la facciamo mangiare agli americani». Poi, che ne so, magari questa grande bellezza è pure un gran film e il protagonista un grande personaggio. Di Sorrentino ho visto l’esordio, per sbaglio, in televisione, su Sky. Mi è pure piaciuto senza condizioni, ma mi hanno detto di non dirglielo: i geni pretendono anche di crescere e lui considera traumatica un’infanzia felice. In questo posso capirlo: ho scritto un solo romanzo, una vita fa, e detesto quelli che me lo ricordano. Quanto alla mia infanzia, è adesso. Per cui…
Posso dirle che il suo primo film per me resta il suo capolavoro?
Mi guarda e strizza leggermente l’occhio destro. Toglie il sigaro spento dalla bocca, aggiusta i capelli dietro l’orecchio. Siamo nella sua casa di Roma, a piazza Vittorio. Che per me non è Roma. Piazza Vittorio l’hanno salvata i cinesi, se non arrivavano loro restava quel che era: un pezzo di Torino. Sorrentino non risponde. Alle sue spalle lo fa, a modo suo, un canarino. Riprovo.
Posso dirle che il suo primo film per me resta il suo capolavoro?
«Vabbè, anche io sono affezionato all’Uomo in più, eppurtuttavia...».
Scusi se la interrompo, ma io quest’Uomo in più non l’ho mai visto. Io dico quella perla di quindici minuti che comincia con una moglie che fa al marito: «Oggi dovresti cambiarti la mutanda».
«Ehhh, ma lei ha visto L’amore non ha confini…».
Esatto. Posso recitare a memoria la poesia sulla spiaggia… Amore, masturbami sul mappamondo, voglio venire sul Marocco! Sono generoso, voglio fare del volontariato. La risolvo io l’aridità desertica del Sahara. È proprio vero, l’amore non ha confini.
Sorride, il ghiaccio è rotto, l’intervista può davvero cominciare.
Davvero, l’amore non ha confini?
«Ero più vecchio, allora. Adesso potrei citare Loredana Bertè: l’amore è sopravvalutato. La trovo una frase che le assomiglia: inopportuna e verace».
Loredana Bertè e Serena Grandi, Antonello Venditti e Giulio Andreotti. Io adoro le case dei vecchi, ma lei sembra avere una passione per le stanze del disfacimento.
«Ognuno ha una sua età dell’oro. La mia è stata quella lì, gli anni Settanta e Ottanta. Poi, qualcosa si è rotto, non tutto è ripartito. Il cielo degli dei è rimasto chiuso. La vita, diciamo la verità, è proprio infame. Da bambino ricordi tutto ma non hai niente da ricordare. Più avanti sì che ne avresti, ma cominci a dimenticare ogni cosa. Io mi ricordo il mago Silvan, l’irruzione delle curve di Carmen Russo e una zia che era uguale ad Andreotti, mio padre mi portava a trovarla e ogni volta tornando ridevamo: oh, è uguale, uguale!».
E poi? Si sono spente le luminarie ed è rimasto un mondo senza magia?
«Guardi, quanto è vera la Madonna c’è poesia, volgarità e tenerezza dappertutto. Finanche nelle case dei sottosegretari. Mi creda».
Frequenta?
«Io non frequento, per principio. Eventualmente, ricevo. Cucina mia moglie. I suoi avevano un ristorante, da generazioni. A qualcosa deve pur servire la tradizione. Non mi piace uscire. Amo stare a casa, con i miei figli, il cane e il canarino».
Che si chiama?
«Higuaín».
Le manca Napoli?
«No. Napoli è una città snob, la più snob del mondo, rivendica continuamente la sua unicità».
E Roma no?
«Roma è il posto migliore del mondo in cui vivere».
Perché?
«Perché Roma è morta. Una straordinaria città morta. È l’integrità del cadavere il grande miracolo estetico e mistico di Roma. È morta duemila anni fa e profuma ancora. Per sentirsi vivi bisogna ossessivamente relazionarsi alla morte. E se poi la morte ha le sembianze di una rutilante, incredibile bellezza, non ti senti ancora più vivo? È un’illusione senza dubbio, ma che male c’è a traversare l’esistenza dentro la bolla dell’illusione? La magia è l’arte dell’illusione, ma io la augurerei a chiunque, una vita magica».
Che cos’è per lei la bellezza?
«Un agguato di pomeriggio, inatteso e furtivo, il sole che svanisce lento. Ma la bellezza ferisce se non sai guardare oltre l’apparenza. Davanti alla bellezza bisogna saper cogliere anche la sua congenita fragilità. Come con le ragazze degli anni Settanta…».
Per favore, restiamo al presente.
«Il presente è un’ovvietà. Chiunque può aggiustarlo, perfino uno che fa il presidente del Consiglio o della Banca europea. Bisogna essere capaci di riparare il passato. Ci pensi, perché sennò mezzo mondo andrebbe in terapia, perché si scriverebbe la storia?».
Lei ha i conti a posto con il passato?
«Io e quelli come me siamo stati un candore, siamo stati la vita che si lascia vivere, abbiamo riso meglio di tutti. Io e Maurizio. Io e Peppe. Io e Nicola. Ma ci ha visti sul palco con il Golden Globe in mano, lui con il farfallino sghembo? Chi ce lo doveva dire, a noi? Siamo andati oltre il miraggio e se non è rimasto soltanto deserto intorno a noi è perché ci siamo tenuti stretti, anche con quelli che se ne sono andati. C’eravamo tutti, sul palco, tutti, anche quelli che se ne sono andati».
Che cosa ha pensato quando ha avuto la nomination all’Oscar?
«Mi son detto: mò, con questa stronzata va a finire che mi perdo le meglio partite del Napoli».
Come l’ha saputo?
«Una telefonata. Ero a letto con mia moglie. Ci siamo abbracciati un po’, poi lei ha detto: adesso non montarti la testa e vai a fare il caffè. Ho eseguito».
Segue sempre le direttive di sua moglie?
«Tendenzialmente».
Perché?
«Le attribuisco una sapienza istintiva e una visione d’insieme. Calcisticamente, paragonabile ad Alemão. Ha cose che a me mancano e mi hanno compensato. Mi ha dato prospettiva».
Sta dicendo che le ha salvato la vita?
«Sto dicendo che ha salvato ogni singolo giorno. Credo che la somma faccia qualcosa di più della vita. Ma non sono bravo in matematica, preferisco l’ipotesi alla cifra».
Specialmente se tonda…
«Cominciamo a capirci. La cifra tonda, i conti da far quadrare. E pensare che quelli che dicono queste cose un tempo sono stati bambini, o hanno studiato filosofia».
E poi?
«Poi hanno voluto una carriera, hanno spostato il baricentro della gioia e non l’hanno più trovata. L’hanno barattata con qualche carica, qualche amante in cambio merce, una piscina non olimpionica. E un’epatite precoce».
Lei, invece?
«Io non ho mai provato a diventare intelligente, è una fatica inutile quanto artefatta. E dubito delle persone considerate unanimemente intelligenti. Ecco, sa che cosa mi ha fatto piacere? Che sul mio film non ci sia stata l’unanimità, che ci siano stati quelli a cui non è andato giù, perfino quelli che l’hanno detto per partito preso, quelli che non mi sopportano perché non twitto, non frequento, non riconosco, quelli che conoscono Roma molto meglio di me, che conoscono la bellezza molto meglio di me, che conoscono me molto meglio di me. Se non ci fossero stati mi sarei proprio preoccupato».
Che cosa la preoccupa?
«La consapevolezza dei miei figli. Uno legge troppo. L’altra guarda troppi film. Sono meravigliosi ma temo stiano diventando anche consistenti, che un giorno vengano a vedere il mio bluff. O forse l’hanno già fatto e non me l’hanno rivelato per pietà».
Può considerarsi un bluff uno che ha conquistato l’America?
«Non ho conquistato neppure un bilocale a Manhattan. Quando ho cercato di comprarlo il consiglio del condominio mi ha respinto: persona non grata. Non davo sufficienti garanzie, non ero all’altezza. Quelli sì, mi hanno sgamato subito».
Ora può starsene a casa, scrivere, parlare con i suoi figli, giocare con il cane, ascoltare il canarino, guardare il Napoli alla Tv. Felice, Sorrentino?
«Io tutto avevo messo in conto, tranne che la felicità».
Ho un’ultima domanda, maestro. Che cos’è una vibrazione?
«Lo chieda a chi la sente. Io non vibro, accenno. L’indignazione o l’entusiasmo bussano, ma non apro».